La stele nei giardini di via Santa Franca a ricordo delle vittime di tutti i totalitarismi, monumento di tutti

La stele nei giardini di via Santa Franca inaugurata il 9 novembre, 32 anni dopo la caduta del muro di Berlino

L’inaugurazione di una stele eretta nel giardino di via Santa Franca dedicata alla libertà e alle vittime di tutti i totalitarismi (fascismo, nazismo, comunismo), ha suscitato un vivace dibattito. Per alcuni un’iniziativa strumentale e di parte, voluta dal Circolo Einaudi d’ispirazione liberale con l’adesione della municipalità del Sindaco Patrizia Barbieri per motivi di equilibrio interni all’alleanza di centrodestra in funzione elettorale. In effetti la posizione dei promotori è chiara e trasparente: certo, si condannano i crimini contro l’umanità consumati nei campi di sterminio nazisti con la complicità del fascismo (oggettivamente una condanna che possiamo definire ‘atto dovuto’) e a questo proposito aggiungerei la condanna nei confronti dei crimini consumati nel nome del Duce dal nostro esercito nei Balcani e in Etiopia dove oltre alle rappresaglie contro i civili non ci siamo negati (su indicazione dello stesso Mussolini) l’uso di gas micidiali. Detto questo, però, come dicevo i promotori vanno ben oltre arrivando al vero obiettivo: ricordare la caduta – avvenuta il 9 novembre 1989 – del muro di Berlino, quindi un monumento simbolo dei crimini contro l’umanità consumati dai comunisti del regime sovietico. Giusto. Impossibile tacere dei tanti ‘scomparsi’ nei gulag ma nemmeno può calare il silenzio sul patto tra Stalin ed Hitler finalizzato alla spartizione della Polonia, sull’abbandono al loro destino dei combattenti socialisti ed anarchici in Spagna, sull’esilio e sull’assassinio del dissidente Trotsky. Condivisibile, dunque, la condanna anche ‘da sinistra’ di questi crimini della dittatura comunista. Ma attenzione a non generalizzare: se l’intento dei promotori dell’iniziativa è quello di muovere una critica al movimento comunista in generale, e alla sinistra italiana tutta, alla Resistenza stessa come vissuta in Italia, di porre sullo stesso piano nazismo, fascismo, comunismo (e, indiretttamente, socialismo) anche in funzione elettorale odierna, i distinguo sono d’obbligo e quella stele inevitabilmente risulta in ‘odore’ di inopportunità. In proposito mi ha particolarmente colpito l’intervento del signor Manrico Bissi in Libertà dell’11 novembre. Come ben evidenzia, “il PCI (quindi i comunisti) ha partecipato democraticamente alla vita politica del Paese (…) Ma questo alibi non basta: il giudizio verso una ideologia non può e non deve limitarsi all’esperienza specifica di un singolo Stato, bensì deve (…) rapportarsi alla sua ricaduta globale”. Inevitabile, a questo punto, risalire alla genesi della teorizzazione marxista-leninista, ovvero alla Terza Internazionale (1919) nell’ambito della quale l’ala rivoluzionaria sotto la guida di Lenin, ottenne la maggioranza organizzando la scissione del movimento socialista con la nascita del partito comunista distinto dai ‘menscevichi’ orientati in senso riformista, partecipato, sostanzialmente democratico. Lenin sosteneva che il proletariato potesse aspirare ad una rivoluzione armata per mezzo degli sforzi di un partito comunista che si assumesse il ruolo di “avanguardia rivoluzionaria“. Lenin credeva altresì che un partito del genere potesse portare a termine i propri obiettivi soltanto attraverso una forma di organizzazione disciplinata nota come “centralismo democratico“, con l’accentramento del potere decisionale in un vertice di pochi selezionati. Questo partito avrebbe dovuto essere costituito da militanti di elevato livello politico, alcuni dei quali dediti alla politica a tempo pieno (insomma pochi “rivoluzionari di professione” chiamati a decidere per il popolo tutto). Contro queste teorizzazioni erano schierati i menscevichi (ovvero i socialisti risultati minoranza nell’ambito della Terza Internazionale) critici verso la natura autoritaria e i metodi con i quali Lenin voleva raggiungere uno Stato a suo dire socialista ma in realtà dittatura di pochi. Non da meno la critica che dalla Germania mosse a Lenin Rosa Luxemburg che oggi potremmo inserire nel filone del socialismo libertario. Rispetto alla teorizzazione della dittatura del proletariato Rosa afferma la necessità della democrazia per la classe operaia perché l’esercizio dei diritti democratici, il suffragio universale, l’autogoverno sono elementi politici attraverso i quali essa “diviene cosciente dei propri interessi di classe e dei propri compiti storici”. Scrive: “La libertà, riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un unico partito – siano pure numerosi quanto si vuole – non è libertà. La libertà è sempre soltanto la libertà di chi pensa diversamente. Non per fanatismo per la ‘giustizia’, ma perché tutto quanto vi è di istruttivo, di salutare, di purificatore nella libertà politica dipende da questo modo di essere, e perde la sua efficacia quando la ‘libertà’ diventa privilegio (…). Lenin sbaglia completamente nella ricerca dei mezzi: decreti, potere dittatoriale degli ispettori di fabbrica, pene draconiane, terrorismo, sono solo dei palliativi. L’unica via che conduce alla rinascita è la scuola stessa della vita pubblica, la più larga e illimitata democrazia, l’opinione pubblica. Proprio il regno del terrore demoralizza. Tolto tutto questo, che rimane in realtà? Lenin e Trotsky hanno sostituito ai corpi rappresentativi eletti a suffragio universale i Soviet, come unica vera rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma soffocando la vita politica in tutto il paese, è fatale che la vita si paralizzi sempre più nei Soviet stessi. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di stampa e di riunione, senza libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diviene vita apparente ove la burocrazia rimane l’unico elemento attivo. La vita pubblica cade lentamente in letargo; qualche dozzina di capi di partito di energia instancabile e di illimitato idealismo dirigono e governano; tra loro guida in realtà una dozzina di menti superiori; e una élite della classe operaia viene convocata di quando in quando a delle riunioni per applaudire i discorsi dei capi e per votare all’unanimità le risoluzioni che le vengono proposte – è dunque in fondo un governo di cricca, una dittatura certamente, ma non la dittatura del proletariato, bensì la dittatura di un pugno di uomini politici, una dittatura nel significato borghese (…). C’è di più: una tale situazione porta necessariamente ad un inselvatichirsi della vita pubblica: attentati, fucilazioni di ostaggi, ecc. Una visione ‘profetica’ come poi ci racconterà la storia fino ai giorni nostri che trova concreta identificazione nella persecuzione dei socialisti (menscevichi) prima costretti all’esilio e poi ‘scomparsi’ nei gulag insieme ai presunti dissidenti dei paesi baltici occupati dai soldati dell’Armata Rossa  mandati ai lavori forzati nel gelo della Siberia. Questa la realtà degenerata che sarà il comunismo con il successore di Lenin, Stalin, e così in seguito ancora fino alla invasione armata della Cecoslovacchia socialista (1968). Dunque, sia pure non tacendo l’amarezza, non si può non condividere ‘da sinistra’ il senso della stele collocata nel giardino di via Santa Franca. Che sicuramente non può intendersi come una croce sulle spalle dell’attuale sinistra in parte erede del PCI d’un tempo e men che meno della vicenda della Resistenza vissuta nel nostro Paese contro l’occupante nazista e i suoi complici fascisti. A questo proposito un appunto: ma se il PCI in Italia maturò nel dopoguerra una scelta sostanzialmente democratica superando la politica che prevedeva la costituzione di bande armate clandestine, come potevano quei comunisti fuori linea rispetto alle teorizzazioni leniniste e staliniste, definirsi ancora comunisti? Negata la rivoluzione, la lotta armata, la dittatura del proletariato, accettata la proprietà privata e il sistema democratico di base capitalista, che cosa ancora differenziava in Italia comunisti e socialisti, che cosa giustifica oggi la definizione di comunista? Chi oggi, in Italia e nell’Occidente, può ancora definirsi tale? Ecco, forse chiarito questo, chiarito chi e quanti sono i comunisti di oggi, potremmo capire il dissenso verso un monumento (la stele) che a ben pensare, in quanto contro tutti i totalitarismi e a ricordo delle vittime degli stessi, può a mio parere tranquillamente venir considerato monumento di tutti.  

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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