“La scommessa sulla sanità piacentina passa dalla realizzazione del nuovo ospedale”: l’opinione di Antonella Lenti in Corriere Padano

L’attuale Polichirurgico piacentino

L’articolo della giornalista Antonella Lenti che fa seguito al confronto sollecitato e voluto dal Comitato Salviamospedale, pur alla fine optare per la soluzione ospedale nuovo, resta comunque attenta alle ragioni di entrambe le parti che stanno portando avanti il confronto. Per questo si ritiene proporlo.

“Ospedale nuovo sì perché ci apre nuovi orizzonti perché non è mai la sostituzione di una struttura esistente”. “Ospedale nuovo no perché è uno spreco di soldi e di suolo. Investiamo su quello che c’è per ammodernarlo…”

La semplificazione elementare evidenzia la posta in gioco effettiva nel dibattito in corso su un nuovo ospedale e che si sintetizza in una domanda: quale prospettiva si vuole per la sanità dei prossimi decenni?

Un affollatissimo incontro alla Cappella ducale del Farnese di un paio di settimane fa ha messo sul tavolo le ragioni dei favorevoli e dei contrari ed evidenziato una serie di valutazioni che sono l’ossatura di quelle che potrebbero essere le prospettive con una scelta o con l’altra. Ma non solo. Nel confronto si sono mostrate due visioni molto distanti tra loro e che procedono su percorsi paralleli che difficilmente potranno incontrarsi.

Punti di contatto zero.

Valutazioni sull’esistente fondamentalmente opposte.

Linguaggi incapaci di comprendersi.

In campo si è vista una visione contrapposta su quale canovaccio sanitario insiste una citta che subisce da anni il destino della seconda fila, posta ai confini di province con ospedali universitari. Ma chi ha detto che anche quello di Piacenza non possa diventare un ospedale universitario, visto l’avvio del corso di medicina in inglese che si è appena aperto? E questa non potrebbe rappresentare una delle prospettive e, perché no, una legittima ambizione?

Secondo i favorevoli al progetto è il salto di qualità che si può svelare, se la prospettiva della sanità locale coglie l’opportunità di un nuovo ospedale moderno che permetta sperimentazione e ricerca, ma anche interconnessione e interdisciplinarietà dei professionisti chiamati a rispondere sempre più in équipe nel percorso di cura dei pazienti. È uno dei temi centrali da considerare in questa discussione che troppo spesso assume i toni veementi ammantati di accenti da tifoserie, sempre cari ai dibattiti nostrani.

Un passo indietro al 2015

È necessario tornare un passo indietro a quando, nel 2015, arrivò la proposta di un nuovo ospedale per Piacenza. Dell’investimento “offerto” dalla Regione parlò a Piacenza (fu durante l’inaugurazione dell’attuale day hospital oncologico ristrutturato nel nucleo antico) l’assessore alla sanità Sergio Venturi. Piacenza, con Cesena e Carpi, avrebbe avuto un nuovo ospedale. “È arrivato il momento, c’è bisogno”. Disse.

Un’offerta “generosa” che Piacenza non aveva richiesto – si sottolinea oggi – letta in chiave di “convivenza geopolitica” valutata allora dalla Regione poiché attivava pari investimenti consistenti su altre due strutture in luoghi più politicamente vicini agli orientamenti del governo regionale (nel modenese a Carpi e a Cesena). Perché in questo pacchetto fu inserita anche Piacenza se dalla città nessuno aveva avanzato questa esigenza? La domanda forse nasconde un retro-pensiero: cosa si celava sotto tanta generosità? Politicamente è un interrogativo che si fa strada in questa complessa, accesa e a tratti incomprensibile stagione politica locale.

Perché impegnarsi nella costruzione di un nuovo ospedale (saranno necessari almeno dieci anni per realizzarlo e, nel frattempo,  si dovrà mantenere efficiente quello esistente) è la domanda che fa breccia tra gli oppositori. Carichi di motivazioni puntano il dito sulla scelta ritenuta una palese e dichiarata mancanza di capacità nel sistemare le pecche che mostra il sistema sanitario attuale. La Piacenza sanitaria è “spezzata” tra polichirurgico e nucleo ospedaliero antico e soprattutto – lo ha evidenziato l’esperienza del Covid – mostra una macroscopica carenza di sanità territoriale di cui, invece, ci sarebbe un gran bisogno. E quindi – è la considerazione finale – perché non investire lì invece che in nuovi muri per un ospedale centrale che con la pandemia ha mostrato non essere il modello ottimale?

A sostegno del dubbio e della contrarietà si porta il fatto che il blocco del Polichirurgico ha solo 30 anni di vita e che alcune sue parti sono state ristrutturate di recente come il pronto soccorso ammodernato solo 7-8 anni fa.

Le origini del Polichirurgico

Sul Polichirurgico è necessario fermarsi un momento. La struttura ha iniziato a prendere corpo tra i Settanta e Ottanta dalla necessità di migliorare le condizioni di un ospedale che durante una visita nel 1987 il ministro della sanità Donat Cattin definì “da terzo mondo”. Fu un intervento parziale mancando le coperture finanziarie per costruire un nuovo ospedale (il progetto era datato anni Sessanta per una struttura nella zona della Besurica). Utilizzando i fondi  ricavati dalle alienazioni di proprietà degli ospizi civili si decise di aggiungere un blocco nuovo accanto al vecchio nucleo che fu lentamente e gradualmente ristrutturato. Va detto, a onor del vero, che i due corpi separati non hanno mai costituito un vero e proprio unicum ospedaliero. Ed è anche per questo, forse, che ora dalla Regione è arrivata la proposta di realizzare un nuovo ospedale con un progetto che superasse la frammentazione dei corpi esistenti che determinano, non c’è scampo, anche la frammentazione della stessa assistenza prestata. Ancora lo dimostra l’esperienza della pandemia. In quel periodo tutto l’ospedale fu trasformato per rispondere alla necessità di posti letto dettati dall’emergenza di tante persone ammalate. Anche le sale operatorie furono ridotte (mantenendole solo per le urgenze)  tanto che le operazioni programmabili (esempio gli interventi per il tumore al seno) furono spostati nella casa di cura Piacenza (e ora trasferite a Castel San Giovanni).

Sempre in quella circostanza si misero in evidenza – così sostengono i favorevoli al nuovo ospedale – la rigidità degli spazi esistenti con l’impossibilità di aggiungere posti letto in caso di necessità.

L’ospedale non lo fanno i muri

Nonostante tutto le argomentazioni di chi si oppone alla proposta del nuovo ospedale restano decise, forti e convinte. Partono dalla convinzione che Piacenza non ha bisogno di un nuovo ospedale. Un ospedale si può dire vitale non se ha muri nuovi ma medici, infermieri, tecnici. Personale oggi insufficiente e che per averlo si fa troppo poco. La difesa della salute comincia prima di tutto dal territorio ed è qui che si mostrano le maggiori pecche, la mancanza di risposte ai bisogni dei cittadini di una provincia che invecchia e con l’aumento dell’età crescono le disabilità e le cronicità permanenti. E poi: che farsene di un ospedale nuovo quando abbiamo luoghi di eccellenza a 50, 70 chilometri (tra Milano, Parma, Pavia e Cremona) che già assorbono una buona fetta di pazienti dal Piacentino? Tanto più che in questi anni sono stati investiti milioni di euro per adeguare gli attuali spazi e allora perché costruirne uno nuovo? Se ci sono criticità tanto pesanti si proceda nell’ammodernamento dell’esistente. Mappe alla mano questo è possibile. Parola del Comitato “Salviamospedale” tanto più che con un nuova costruzione si procederebbe ad accrescere il consumo di suolo (272mila metri quadrati dell’area per il nuovo ospedale) un fattore di estrema criticità per Piacenza che, tra l’altro, è impegnata – sempre su questo tema – nella discussione intorno al via libera alle arre del “bollone” alle porte della città che mette in campo ben 2milioni di metri quadrati. Ma questa è un’altra partita ancora su cui però gli animi non sono così accesi, un’altra partita non conclusa su cui si discute da anni e che forse a maggio potrebbe trovare un’indicazione definitiva. Nel frattempo – è stato segnalato all’incontro di palazzo Farnese – a Cesena quell’ospedale è già in fase di costruzione. Ma a Piacenza i tempi, si sa, sono sempre più lunghi.

Perché rinunciare a un obiettivo ambizioso?

Tornando al tema centrale, cosa si intende quando si afferma che al fondo della discussione sul nuovo ospedale si mette in evidenza una differenza di valutazione sul concetto della sanità del futuro? Può Piacenza darsi un obiettivo tanto ambizioso? E in quale relazione stanno la qualità della cura con le strutture? La “provincia” deve restare al suo posto, cioè in un ambito cadetto considerato che le eccellenze sono altrove e il tema di un grande ospedale per acuti esula dalle esigenze oggettiva di una società che invecchia? Interrogativi nuovi e fondamentali su cui è bene riflettere a fondo perché – se è vero che la popolazione di questa provincia corre verso un invecchiamento irreversibile – è anche vero che la specializzazione e l’implementazione dell’innovazione danno certamente garanzie di sicurezza per la qualità della salute di ciascuno oltre ad essere un segno tangibile verso l’affermazione di una sanità pubblica di qualità che di questi tempi non è argomento minore. Pare dunque non logico rinunciare e non lavorare con attenzione perché questo sia possibile.

A far da contraltare a questa posizione ci sono gli operatori sanitari. Qualcuno si spinge addirittura ad affermare che non possano essere credibili perché portatori di un interesse specifico come quello di lavorare in un ambiente confortevole, ma un ospedale deve essere funzionale per espletare le attività di cura, per accorciare i tempi degli interventi, per rendere possibile – perché no – spazi di umanizzazione della cura verso i pazienti che non sempre sono rispettate.

Nel raccontare le difficoltà del loro lavoro in strutture non sufficientemente adeguate alle necessità gli operatori hanno delineato un fosco quadro della prospettiva futura rilevandone limiti e barriere che ne impediranno di rispondere adeguatamente come si conviene a un ospedale moderno e competitivo ai bisogni sanitari del territorio.

Vecchio ospedale: creatività per inventare nuovi spazi

Sullo sfondo un altro tema.  Riguarda la riqualificazione dell’attuale area sanitaria che occupa una grande porzione del centro cittadino in previsione di un nuovo ospedale realizzato ai margini della città. È indubbio che di fronte a questo scenario sarà necessaria una buona e massiccia dose di creatività per rigenerare un tessuto urbano qualificandolo e mantenendolo vivo.

Incertezze e dubbi si affastellano anche su questo aspetto. Si citano esempi che investono realtà in cui, trasferito l’ospedale dal centro alla periferia, dopo anni la rigenerazione attende ancora. Un rischio possibile, ma spetta alla vitalità del territorio piacentino (se esiste) impedirlo. Come? Progettando, inventando, trovando idee e nuove funzioni per la zona storica in cui oggi si trovano parti dell’ospedale che, comunque, (è la sottolineatura degli oppositori) l’area resterà proprietà dell’Ausl. Lo scenario che si apre di fronte a una prospettiva di cambiamento tanto considerevole può rappresentare un banco di prova per osare (o almeno tentare di farlo) uscendo dal comodo confine dell’ordinaria amministrazione. Può essere possibile anche per una città stretta dal destino di un forte invecchiamento.

Antonella Lenti

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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