“La campana mangiona”, favola contro la guerra proposta da Geremina Leva

In una cittadina ai piedi delle montagne c’era la campana più grossa del mondo. Così grande perché si nutriva delle armi di tutte le guerre e appena ne finiva una, i vincitori le portavano le armi dell’avversario sconfitto.

Fucili, pistole, baionette, cannoni, carri armati. E lei ingoiava ogni cosa d’un solo fiato.

Un bel giorno il guardiano, osservando la campana notò che non stava più ingrassando, era delle stesse dimensioni da almeno dieci mesi e appariva stanca e opaca. Si rivolse allora al presidente del comitato per il ritiro delle armi, il quale lo ascoltò con attenzione e concluse che in effetti era da un bel po’ che non si portava cibo alla campana. Guerre non ne erano scoppiate e quindi niente scorpacciata d’armi.

Il presidente ne parlò col sindaco questi si precipitò dal generale. Il generale marciando su e giù per il suo ufficio arrivò alla soluzione più ovvia: fare una guerra.
Si, ma con chi e per quale motivo?

Passarono, lui e il sindaco, tutto il pomeriggio a scavare nei documenti del catasto, nei bilanci, persino negli ultimi quotidiani, alla caccia di uno straccio di pretesto per fare la guerra a qualcuno. Ma niente di niente. Tutto pacifico.

Ah ecco sbottò il generale:

“Potremmo farla ai Romantici, se guarda più da vicino questa mappa noterà anche lei che hanno invaso il nostro confine a nord-est per estendere il loro belvedere al chiaro di luna“.

Il sindaco non convinto rispose:

“In fondo si tratta di qualche decina di metri e poi guardi quanto ci siamo allargati noi qui, a nord-ovest”.

Allora questo!”  ritentò il generale “gli Illuminatici hanno piazzato i loro telescopi sulle nostre colline“.

Ma neanche questo era fattibile perché in cambio ne avevano avuto l’uso delle acque agricole per un loro allevamento vicino.

Trovato!” riprese il generale “i Baronchi hanno un buco di 3 milioni, un debito di almeno vent’anni. Ottima causa eh?“.

Il sindaco lesse e rilesse, poi concluse che anche loro avevano un debito con i Baronchi.

“Ma insomma!” sbottò il generale “anche lei signor sindaco! Va a cercare il pelo nell’uovo! In fondo quale guerra è per una causa completamente giusta? Sia più morbido, suvvia!”.

Annoiato, il generale convocò le truppe convinto che era meglio farle preparare, che poi muovere contro chi e per quale motivo, sarebbe venuto da sé durante il discorso.

Intanto la campana aveva avuto un peggioramento, sciupata non aveva più la forza di reggersi in piedi. Accorsero tutti preoccupati: il sindaco, il generale, la gente del posto.

Poi decisero di portarla in officina, al tepore del forno, cercarono di darle sollievo ma la sua cera era sempre più pallida; si rivolsero al fabbro, che gli portasse qualche ferro vecchio o altro metallo ma invano.

I bambini portarono sul posto i loro soldatini di piombo che pur imbracciavano delle armi, ma niente.

Corsero all’armeria e chiesero qualche pistola in disuso, qualche scarto di magazzino.

Nella serata ritornarono all’armeria comprando tutte le armi esposte in vetrina, poi quelle in magazzino, e la campana ingoiava ma ancora senza riuscire a rimettersi in forza. (Perché con quelle dimensioni ci vogliono grandi quantità di armi).

Così dopo l’armeria si rivolsero alla caserma dove tutti i carabinieri cedettero molto generosamente le loro armi di servizio, e così la polizia. Poi fu il turno della guardia di finanza, poi i vigili urbani, poi le guardie giurate, le guardie svizzere, finanche l’esercito del generale e poi le fabbriche di armi cedettero armi belle e pronte con una manciata di polvere da sparo come piaceva alla campana.

Tre giorni interi di ingozzamento, ad ogni ora la campana sembrava riprendere colore. Ed ora non riusciva quasi a reggersi in piedi per la pesantezza. Segno che il peggio era passato.

La campana fu riportata al posto di sempre, che ora era molto più colorato e allegro perché durante la sua malattia erano arrivati visitatori da tutto il mondo per farle coraggio e augurarle di guarire presto.

Ci fu allora una gran festa con bibite e dolci per tutti.

A fine giornata quando il guardiano restò ormai solo con la sua amata campana, le si avvicinò e accarezzandola, le disse: “Birbante, ti ho capita sai?  La tua malattia era un pretesto solo per far scomparire dalla circolazione tutte le armi del mondo. Così niente più guerre. Brava ci sei riuscita! Credo che pur volendo non si riuscirebbe a trovare neanche una pistola ad acqua“.

La campana tintinnò annuendo.

Nei giorni seguenti soffrì di una forte indigestione ma ne era valsa la pena: il mondo avrebbe sentito rintocchi di campane invece che spari di cannoni.

Fonte: tiraccontounafiaba.it

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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