Conclusa la visita alla mostra “Il giardino delle meduse” (leggi qui), inevitabile proseguire il percorso per entrare nell’atmosfera del Museo di scienze naturali Kosmos (‘ordine‘ in greco), naturalmente ancora a Pavia, nell’ultimo giorno d’una vacanza sull’orlo della conclusione ma ben sapendo che … morta una vacanza, presto o tardi se ne farà un’altra. Un piccolo rimando storico alle origini: nel 1771 Maria Teresa d’Austria diede l’avvio ad un piano di riassetto organizzativo dell’Università e, in questo contesto, venne chiamato a Pavia Lazzaro Spallanzani, naturalista, con il compito di istituire il Museo che oggi possiamo ammirare a Palazzo Botta Adorno.
Attraversiamo dunque le 11 sale nelle quali sarà inevitabile restare affascinati dallo squalo mako presente nelle acque tropicali e attualmente a rischio estinzione. Analogamente con l’ippopotamo dei Gonzaga, ucciso nel 1600 da Federico Zerenghi , chirurgo di Narni che ne riportò le pelli in Italia. Inevitabile riportarsi con la mente e la fantasia a quei tempi di grandi esploratori e di scoperte di terre e animali sconosciuti per i più, ivi compresi quelli che oggi possiamo considerare addirittura ‘banali‘, come un orango o una giraffa. Ma quello che maggiormente colpisce è il fatto che nelle teche ritroviamo tracce di un mondo perduto, quello che il paleontologo Georges Curvier definiva “un mondo precedente al nostro distrutto da un qualche tipo di catastrofe“. Così in evidenza il Celacanto tra i più antichi vertebrati dotati di mascelle conosciuti, che risale ad almeno 65 milioni di anni fa.
Sosta diciamo personalizzata di fronte al Leone di Barberia, specie diffusa nel Nord Africa estinta nel 1942: gli antichi romani ne catturavano a migliaia per gli spettacoli circensi. Un fatto che mi ha riportato alla mia età bambina, ai primi anni sessanta, quando nell’area del vallo con le mura storiche della mia Piacenza, piantò le tende il primo circo che avessi mai visto. Praticamente attraversata la strada e i binari della linea ferroviaria, di fronte a casa mia e alle altre poche abitazioni che allora costituivano l’immediata prima periferia. Enorme la curiosità: la mia conoscenza del mondo animale all’epoca non andava oltre alla mucca (che nel frattempo a scuola insegnavano fosse diventata una vacca), alle galline, al maiale, ai conigli che vedevo quando s’andava a trovare i nonni in Val Chero (la televisione era ancora una sconosciuta). Enorme dunque la curiosità e l’aspettativa. Ma niente da fare, quel circo non era certo un Orfei, era il circo dei poveri: quattro pagliacci e un gruppo di cani che giocavano con un pallone. Le risate comunque erano garantite.
Altre curiosità: l’esemplare dell’orso delle caverne, scomparso circa 24mila anni fa e ricostruito grazie ai frammenti ossei ritrovati in una grotta vicino a Como; il mitico Dodo, l’uccello delle isole Mauritius che era incapace di volare e che si è estinto con l’arrivo sull’isola dei portoghesi e degli olandesi, simbolo dell’incapacità dell’uomo di rispettare la natura imparando a convivere con essa.
Infine, l’ultima citazione, i pipistrelli nella teca insieme ad un curioso campanellino. Certo: inevitabile ritornare alla lettura del Dracula di Bram Stocker, un libro che credo abbia caratterizzato le notti e gli incubi di molti giovani, soprattutto quando oltre il vetro della finestra imperversava la nebbia fluttuante o addirittura il vento fischiando attraverso le fessure quel vetro lo faceva tintinnare o sbatteva le persiane e già sentivi i denti del maestro della notte sul collo col sangue che raggelava nelle vene. Ma in questo caso nulla: del tutto innocui, i pipistrelli del Kosmos di Pavia. Salvo un quesito irrisolto: che c’azzecca il campanellino? Scientifico! Basta farlo tintinnare e l’aspirante drakulino perde il senso dell’orientamento, va a sbattere sul primo ostacolo che incontra. Insomma, tutte frottole le fole della necessità di mettere aglio allo spigolo della finestra ben chiusa oppure di piantargli nel cuore un appuntito palo di frassino. Basta un campanellino e il pipistrello drakulino è bello fritto!
Così, giunti alla fine del percorso, concluso il bel ripasso di scienze naturali, non resta che salutare ed essendo prossima l’ora del mezzo del giorno, tornare al Ponte Coperto, attraversarlo, parcheggiare dopo l’uscita subito sulla sinistra, fare i pochi passi che portano a via Milazzo, nel quartiere detto Borgo Ticino con le caratteristiche case basse peraltro soggette a sporadici allagamenti nel caso delle esondazioni del fiume. Problema attualmente inesistente, col caldo feroce. il cambiamento climatico determinato dalla stupidità umana e il fiume ridotto ai minimi termini. Nessun problema dunque a raggiungere la Locanda della Società Canottieri per scoprire che Pavia non solo è bella ma è anche buona.