I socialisti nel dopoguerra, la crisi economica, i reduci, i Fasci di combattimento, la crisi economica, i riflessi della Rivoluzione russa, l’assalto fascista alla sede dell’Avanti!

Biennio rosso in Italia viene comunemente indicato il periodo della storia d’Italia compreso fra il 1919 e il 1920, caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con l’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920.In tale periodo si verificarono, soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, mobilitazioni contadine, tumulti annonari, manifestazioni operaie, occupazioni di terreni e fabbriche con, in alcuni casi, tentativi di autogestione. Le agitazioni si estesero anche alle zone rurali e furono spesso accompagnate da scioperi, picchetti e scontri.

L’espressione “biennio rosso” venne utilizzata da pubblicisti di parte borghese per sottolineare il grande timore suscitato, nelle classi possidenti, dalle lotte operaie e contadine che ebbero luogo nel 1919-20, e quindi per giustificare la reazione fascista che ne seguì.

La crisi economica

L’economia italiana si trovava in una situazione di grave crisi, iniziata già durante la guerra e che si protrasse a lungo; infatti, nel biennio 1917-1918 il reddito nazionale netto era sceso drasticamente, e rimase, fino a tutto il 1923, ben al di sotto del livello d’anteguerra, mentre il tenore di vita delle classi popolari era, durante la guerra, nettamente peggiorato; secondo una statistica, fatto pari a 100 il livello medio dei salari reali nel 1913, questo indice era sceso a 64,6 nel 1918. Nell’immediato dopoguerra si verificarono inoltre un ingentissimo aumento del debito pubblico, un forte aggravio del deficit della bilancia dei pagamenti, il crollo del valore della lira e un processo inflattivo che portò con sé la repentina diminuzione dei salari reali. Il peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari (già duramente provate dalla guerra) fu la causa immediata dell’ondata di scioperi e di agitazioni, iniziata nella primavera del 1919, alla quale non rimase estranea nessuna categoria di lavoratori, sia nelle città sia nelle campagne, compresi i pubblici dipendenti, cosicché l’anno 1919 totalizzò complessivamente in Italia oltre 1.800 scioperi economici e più di 1.500.000 scioperanti.

Il reducismo

Come in tutta l’Europa post-bellica, anche in Italia gli ex combattenti, costituiti in proprie associazioni, divennero un elemento importante del quadro politico. In Italia gli orientamenti politici degli ex combattenti furono vari. Solo una minoranza aderì ai Fasci di combattimento fondati nel 1919 da Mussolini; molti di più furono i reduci che diedero il proprio consenso alle idealità democratiche espresse dai “quattordici punti” del presidente statunitense Woodrow Wilson; l’Associazione Nazionale Combattenti, nel suo congresso di fondazione che ebbe luogo nell’aprile 1919, propose l’elezione di un’Assemblea Costituente che avrebbe avuto il compito di deliberare un nuovo assetto democratico dello Stato. Una parte della storiografia ha ritenuto che l’incomprensione e l’ostilità, che il Partito Socialista riservò in quegli anni alle istanze espresse dai reduci, abbiano contribuito a spingere questi ultimi a destra, verso il nazionalismo e il fascismo. Un’altra parte della storiografia ha rilevato, tuttavia, che l’atteggiamento socialista di opposizione alla guerra era in continuità con il pacifismo e il neutralismo che tale partito aveva già espresso prima e durante il grande conflitto, atteggiamento che era d’altronde largamente condiviso dai suoi elettori e che il partito molto difficilmente avrebbe potuto sconfessare a guerra finita. Peraltro, sia nel 1915 sia nel 1919 l’orientamento neutralista (che fosse di matrice cattolica, giolittiana o socialista) era quello ampiamente maggioritario in Italia, cosicché l’interventismo e il bellicismo finirono per assumere più facilmente un carattere antidemocratico.

Due furono, comunque, i principali orientamenti politici nei quali si articolò il movimento degli ex combattenti: uno più radicale, che trovò espressione nell’associazione degli arditi e nei nazionalisti estremisti come D’Annunzio, Marinetti e Mussolini; e un secondo orientamento più moderato, rappresentato dalla Associazione Nazionale Combattenti, la quale in politica estera non condivideva lo sciovinismo dei nazionalfascisti mentre in politica interna era piuttosto vicina alle posizioni di Nitti e di Salvemini.

Gli ex combattenti furono anche protagonisti, in quegli anni, di importanti lotte sociali, soprattutto nell’Italia meridionale: specialmente in Calabria, in Puglia e nel centro-ovest della Sicilia ebbero luogo rilevanti occupazioni di terre già facenti parti di latifondi, per un’estensione che è stata stimata fra i quarantamila e i cinquantamila ettari nel biennio 1919-20; questi movimenti furono spesso guidati dalle associazioni dei reduci, a differenza dell’Italia settentrionale, dove i moti contadini ebbero prevalente carattere bracciantile e furono perlopiù egemonizzati dai socialisti.

Riflessi in Italia della rivoluzione russa

La Rivoluzione russa che nel marzo 1917 aveva portato alla costituzione del Governo Provvisorio Russo sotto la guida di Aleksandr Kerenskij aveva subito ottenuto il sostegno morale dei socialisti italiani e dell’Avanti! che in essa intuivano già gli ulteriori sviluppi. L’Avanti! il 19 marzo scrisse: “la bandiera rossa issata dal proletariato di Pietrogrado ha ben altro significato che un’adesione delle masse della Russia lavoratrice alla presente situazione creata dagli imperialismi di tutti i paesi” La notizia degli avvenimenti russi giunse in Italia in un momento particolarmente difficile, sia sul fronte militare sia nel settore economico e già alla fine di aprile in parte ispirarono disordini soprattutto a Milano causati dalla carenza del riso. I socialisti accentuarono la richiesta di arrivare alla pace ma aggiungendo anche espliciti inviti alla ribellione. Ad agosto a Torino, in occasione della visita di una delegazione russa in Italia, vi furono manifestazioni di operai che accolsero i delegati al grido di “Viva Lenin” e che in poche settimane raggiunsero il culmine con la più violenta sommossa registrata in Italia durante la guerra. I moti ebbero luogo fra il 22 e il 27 agosto e si chiusero con un bilancio di circa cinquanta morti fra i rivoltosi, circa dieci fra le forze dell’ordine e circa duecento feriti; vi furono un migliaio di arrestati; di essi, varie centinaia furono condannati alla reclusione in carcere. La sommossa di Torino, indubbiamente spontanea in quanto causata dalla contingente mancanza di pane, era comunque frutto della intensa propaganda socialista e della sconfitta del Regio Esercito nella battaglia di Caporetto. Dunque aprì scenari che avrebbero favorito una rivoluzione in Italia. L’esaltazione di Lenin e della Russia, che fece molta presa nella classe operaia dell’epoca, fu soprattutto dovuta al direttore dell’Avanti! Giacinto Menotti Serrati e la rivoluzione russa, presso i massimalisti, fu considerata “uno sbocco necessario della situazione italiana”ma l’approdo rivoluzionario non era nelle volontà dei dirigenti socialisti tantoché l’ala riformista a seguito di Caporetto sentì il dovere di sostenere lo sforzo bellico contro l’invasione nemica. Note e significative sono le parole del leader riformista Filippo Turati al Parlamento: “L’onorevole Orlando ha detto: Al Monte Grappa è la Patria. A nome dei miei amici ripeto: Al Monte Grappa è la Patria“. La Rivoluzione d’ottobre in Russia in ogni caso rafforzò la corrente massimalista, ma soprattutto quella intransigente del Partito Socialista che aveva i suoi principali centri a Roma, Torino, Milano, Napoli e Firenze e di cui divenne la vera e propria avanguardia.

Il Congresso di Roma del 1-5 settembre 1918 sancì ufficialmente la nuova linea politica del Partito che avrebbe dovuto “esplicarsi esclusivamente sul terreno della lotta di classe” ed espulsione dal partito per chi “renda omaggio alle istituzioni monarchiche, partecipi od indulga a manifestazioni patriottiche o di solidarietà nazionale“.

Alla fine della Prima guerra mondiale e per buona parte del 1919 il peso dei socialisti intransigenti si manifestò più apertamente guadagnando sempre più posizioni. A Torino il PSI locale è guidato da Giovanni Boero, leader locale degli intransigenti, a Napoli divenne una figura di spicco Amadeo Bordiga che fondò il suo settimanale Soviet, a Roma è “intransigente” la federazione giovanile. Su posizioni estreme è anche il settimanale “La Difesa” di Firenze, città che il 9 febbraio 1919 vide la vittoria del gruppo intransigente all’interno della federazione socialista, così come a Milano l’11 marzo, nonostante che sindaco della città fosse il socialista moderato Emilio Caldara. Il prevalere degli intransigenti all’interno del Partito Socialista comportò una radicalizzazione delle posizioni e parole come “Repubblica socialista” e “Dittatura del proletariato” furono sempre più spesso usate. Le tesi di Lenin sulle guerre, viste solo come lotte tra imperialismi destinate infine a rinforzare esclusivamente le forze della reazione, evidenziano come lo scontro a questo punto per i socialisti possa essere solo tra “conservazione” e “rivoluzione”.
Un ruolo di rilievo nel radicalizzare le mobilitazioni popolari lo ebbe anche il rientro in Italia (dicembre 1919) dell’agitatore anarchico Errico Malatesta (salutato dalle folle come il Lenin italiano), la nascita a Milano (febbraio 1920) del quotidiano anarchico Umanità Nova, da lui diretto, e la nascita dell’Unione anarchica italiana.

La reazione antisocialista

La radicalizzazione delle posizioni politiche socialiste polemiche con la guerra appena conclusa giocava inoltre a favore delle organizzazioni nazionaliste che si ersero a difesa della vittoria e a custodi dell’ordine. L’antisocialismo dei nazionalisti, ribattezzato “antibolscevismo“, trovò nuova linfa nell’ostilità dimostrata dai socialisti nei confronti della “Vittoria” di una Patria definita come un'”inganno borghese” rendendo presso i nazionalisti il concetto di patriottismo indissolubilmente legato a quello di antisocialismo. Per tutto il 1918 e fino alla seconda metà di febbraio del 1919, a parte sporadiche polemiche antisocialiste, non vi fu un’effettiva contrapposizione. Le cose cambiarono il 16 febbraio 1919, dopo che un imponente corteo socialista svoltosi a Milano sfilò ordinato per il centro cittadino. Le forze interventiste reagirono chiamando all’unità di tutti i gruppi nazionalisti e Mussolini su Il Popolo d’Italia pubblicò un duro articolo intitolato “Contro la bestia ritornante…”. Le manifestazioni socialiste cominciarono a moltiplicarsi e oltre alla polemica contro la guerra si aggiunse la polemica contro i “combattenti” e sempre più presente divenne l’esaltazione di Lenin e del Bolscevismo che unita alla violenza verbale dei giornali socialisti e dell’Avanti! con dichiarazioni di guerra allo “Stato borghese” mischiate all’esaltazione della Rivoluzione d’Ottobre mettevano in allarme gli organi dello Stato.

La contrapposizione tra socialisti e interventisti scoppiò violenta a Milano il 15 aprile 1919 dopo una giornata di scontri, che culminò nell’assalto squadrista all’Avanti! tra manifestanti del Partito Socialista e contromanifestanti, arditi, futuristi (vicini agli anarchici) e i primi elementi fascisti dei neocostituiti Fasci italiani di combattimento che si fecero notare per la prima volta a livello nazionale. A partire dalla primavera del 1919 si costituirono numerose associazioni patriottiche e studentesche, di reduci oppure nazionaliste tutte accomunate dall’antisocialismo le quali iniziano a manifestare, pubblicare riviste oppure a organizzare riunioni. Alle associazioni combattentistiche antisocialiste, oltre alle formazioni più audaci e a carattere volontario degli arditi, presero parte soprattutto reduci animati anch’essi da patriottismo che si sentivano offesi dalle offensive svalutazioni fatte dall’Avanti!.

Fonte: Wikipedia

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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