Via Roma, un tempo principessa oggi, c’è chi dice, sfigurata dal tempo inesorabile che passa. Serrande abbassate, bar abbandonati, si dice troppi stranieri, troppe risse, troppa violenza. Quartiere popolare ormai degradato, dal quale, pensano in tanti, sarà meglio star lontani. Così dicono in tanti: un Bronx in salsa piacentina. Ma non per tutti è così. Anzi, questi finiscono con l’essere luoghi comuni, semplici chiacchiere per sentito dire. Immaginiamo invece di vivere questa porzione di mondo e di città come luogo di inclusione sociale. Certo, vero che in questa strada troviamo molti immigrati ma chi sono, li conosciamo? In genere sono lavoratori. Soprattutto impegnati nella logistica. Certo troppo spesso in modo precario, giusto qualche mese poi tanti saluti fino alla prossima necessità. Pendolari del lavoro. Qualche mese da noi, poi via, da qualche altra parte per qualche altra opportunità. La maggioranza invece ha un lavoro abbastanza consolidato, sono immigrati di seconda generazione, hanno portato moglie e figli, tengono famiglia, vivono la vita in pace. Li vedi, ben vestiti, spesso con abiti colorati che fanno invidia. Certo, hanno le loro abitudini, la loro cultura, probabilmente non leggono Libertà e non ascoltano Radio Sound. Ma niente risse, niente violenza, sono tante le mogli che spingono carrozzelle, sono tanti i bimbi che tornano da scuola con le loro cartelle, con gli zaini, con gli appunti della maestra scritti nel diario proprio come i nostri figli. Insomma. Via Roma? Un angolo di città dove vivere può essere piacevole, “normale”, amicale. Vogliamo provare a crederci? Beh sicuramente ci crede l’associazione Fabbrica&Nuvole.
Come dimostrato sabato 1 ottobre.
Un gruppo di “ragazzi” e “ragazze”, quelle e quelli di via Roma al 163, due vetrine sede della Scuola Azzurra dell’associazione Fabbrica&Nuvole, volontariato per l’inclusione sociale. Bernardo, Marco, Claudio, Simone, Valeria, Silvia, Dalila, Stefano, Renata, Mauro, Francesco, Gianpaolo. Senza dimenticare, scodinzolante, Luna. Tutti d’accompagno, di contrada in contrada, di via in via, di strada in strada, a Riccardo e Paolo. Via Pantalini, via Guastafredda, via Confalonieri, piazza San Paolo, via Scalabrini, via Neve, via Roma, via Tibini, via Alberoni. Suonando i campanelli per dire “c’è una serenata per voi, affacciatevi alla finestra“. Come quei tempi andati, in campagna e nella Piacenza popolaresca. Ricordi di porte sempre aperte, di donne all’uscio in strada a raccontar la giornata, a scambiar ricette, pettegolezzi, confidenze. I bambini e i ragazzini a giocare, “occiu mulassa ch’ariv a caval“, il bottiglione di rosso sempre pronto per il nuovo arrivato, la briscola giocata in strada tanto al più passava il Mario in bicicletta.
Diciamolo. Alle prime scampanellate nessuno s’affaccia. Poi s’arriva a quel portone, si suona, ancora nessun risponde ma lo scatto avverte che potremmo addirittura entrare. Fiducia senza limiti. Ma non era il quartiere delle risse e della violenza? Ma chi l’ha detto? Certo, nessuno s’affaccia, niente risposta al citofono così non si capisce quale sia l’offerta. Tu non apri la finestra ma Paolo suona comunque alla chitarra e Riccardo, nella vita coreografo e ballerino, danza nella strada. E sembra smossa qualche tenda nonostante non s’abbia notizia del minimo alito di vento. Dietro quelle tende qualcuno origlia, curioso ma ancora un poco diffidente.
A seguire poi finalmente s’apre la prima finestra, “ma cosa fate?” chiede una ragazza. Che alla fine applaude, come applaude quell’uomo che s’affaccia in camicia e cravatta e un’altra donna che scende alla porta sperticandosi in “grazie, grazie, grazie“.
Poi una coppia, un ragazzo con l’amica che si fermano, sorridono, ammirano la serenata per loro (che siano innamorati o semplici conoscenti poco importa). Un ragazzo orientale probabilmente studente nella vicina facoltà di architettura, anche lui apre il portone, s’affaccia, ci fotografa, chiede in inglese cosa si sta facendo e Renata “we dance for you” e lui ringrazia, sorride, saluta. La mamma che chiama il figlio e dietro la finestra lo fa salire sulla sedia affinché veda meglio.
Elisabetta con Pietro che per un tratto camminano con noi. Il figlioletto di Gero che rincorre Bernardo per spaventarlo e Bernardo, ragazzino nell’anima, che sta al gioco. La donna che resta dietro la tendina con i fiori ma quando la saluto ricambia con la mano. Quei ragazzi, immigrati, che s’affacciano dal bar sorridendo. L’immancabile bandiera per la pace al balcone. Una giornata di ridente umanità.
Una giornata di timido tiepido sole iniziata, in verità, senza scampanellii ma semplicemente presentandosi agli ospiti del Maruffi raccolti nel cortile, i più in carrozzina felici d’una giornata diversa, felici di non essere dimenticati, di non essere soli, di sentirsi parte di un’unica grande comunità.
Bastano in fondo pochi minuti con Riccardo che danza con il nastro azzurro simbolo dell’iniziativa legato al polso e con quel nastro ‘accarezza‘ tutti e tutte, compresa quella giocosa ospite che quel nastro svolazzare l’afferra e non lo lascia più. Per passarlo nelle mani dell’amica vicina che, le sue mani, non le muove più, non riusciva lei a sfiorare quel nastro che la voleva accarezzare. Lo confesso: mi sono commosso, avrei voluto abbracciarle, le ho salutate abbracciandole, ricambiato, con gli occhi.
Questo il quartiere di via Roma dove i ragazzi e le ragazze di Fabbrica&Nuvole si ritrovano in sede per ideare pomeriggi di serenate, presenza alla festa di quartiere – quella che si tiene ad ogni prima domenica del mese – con tanto di risottate in strada, la biblioteca con i libri a disposizione, mostre d’arte e figurative, incontri con poeti e scrittori piacentini, laboratori e corsi per adulti e ragazzi e quant’altro seguirà. Questa è contrada Roma, una via di gente per la gente.
Affacciati anche tu.