Dal film “C’è ancora domani” una riflessione sul voto popolare a cura di Carmelo Sciascia

Non voglio riportare percentuali matematiche, ma solo alcuni concetti che però discendono proprio dalle percentuali e dai numeri. Tutti sappiamo che ad ogni tornata elettorale si perde un pezzetto di elettorato. La discesa sembra inarrestabile, quasi fosse un destino inevitabile: il famoso fato dei greci la cui responsabilità è da addebitare solo agli dei, e che vede gli uomini costretti a rimanere estranei, impotenti e succubi.

Ai politici evidentemente il fenomeno non interessa, a loro sta a cuore raggiungere la maggioranza, qualsiasi possa essere la percentuale dei votanti. Importante è raggiungere la maggioranza anche se questa maggioranza rappresenta una piccola minoranza, in altre parole importante è raggiungere la maggioranza della minoranza. Paradossalmente dovessero andare solo tre persone a votare, importante è riuscire ad avere la maggioranza che in questo caso sarebbe la volontà di due soli votanti. Il numero dei seggi da distribuire risulterebbe immutato, così come il potere da gestire.

È questo un discorso miope, perché in questo modo si stravolge lo stesso concetto di democrazia. Concetto che, dalla Grecia classica del VI secolo a. C., è giunto a noi nel suo significato più autentico di potere del popolo. Potere che esercitato, in vario modo, rimane pur sempre emanazione della volontà popolare, volontà che si esprime con una partecipazione attiva ed inclusiva.

Queste riflessioni sono la conseguenza di un film che in questi giorni si proietta nelle nostre sale: “C’è ancora domani”, film che vede Paola Cortellesi alla sua prima fatica da regista, nonché come attrice principale (Delia, la moglie). Il ruolo di coprotagonista è assegnato a Valerio Mastandrea (Ivano, il marito). La trama è semplice, è la storia di una famiglia nell’immediato dopoguerra in una città come Roma che vede ancora la presenza delle truppe americane.  Una famiglia dove è l’uomo a comandare, stavo per dire con le buone o con le cattive, ma in questo caso solo con le maniere forti, picchiando la moglie in maniera violenta anche per banali motivi. Dicendo questo non aggiungiamo nulla di nuovo nella storia della famiglia patriarcale italiana come è stata fino agli anni sessanta ed oltre, basti pensare che il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981! Un film che si guarda con ansia, con angoscia, direi dolorosamente.

Il film dovrebbe appartenere al genere della commedia. Ma a volte è difficile assegnare un genere particolare ad un film come a qualsiasi altra espressione letteraria. Il confine tra saggio e romanzo storico in certe opere è labile. Così in quest’opera. Definirla commedia è riduttivo, quasi si volesse accattivare un pubblico vasto, portato alla leggerezza più che alla fatica della riflessione. Comunque il film ha raggiunto un duplice obiettivo. Il primo possiamo definirlo quantitativo: un gran numero di spettatori (primo classificato al Box Office). Il secondo obiettivo è specificamente qualitativo (premiato a Roma Film Festival). Il film ha raggiunto infine lo scopo di aver costretto il pubblico, attraverso una rappresentazione storica, a riflettere seriamente e serenamente sul significato del voto, sul diritto al voto.

Chissà quale piano sembra ordire la moglie Delia per uscire da una situazione triste e dolorosa per sé e per tutta la famiglia. Si rimane in attesa di uno sbocco che oggi sembrerebbe ovvio, l’abbandono del tetto coniugale. Non sarà così. Di certi film si ricordano alcune scene, di questo rimarrà impressa nella memoria collettiva la soluzione finale. Un finale che ci viene suggerito dalla storia, dal diritto al voto finalmente concesso anche alle donne nell’immediato dopoguerra. L’occasione è stato il referendum del 2 giugno 1946, quando gli italiani e le italiane sono stati chiamati a scegliere tra monarchia e repubblica.

Al di là della rilevanza politica c’è in questo film un’aria vintage, il ricordo di film come “La strada” dove personaggi come Zampanò e Gelsomina rispecchiano l’impari condizione dei rapporti uomo-donna nella società italiana. Solo che nel film di Fellini non c’è remissione, non c’è salvezza e nemmeno speranza, mentre nella Cortellesi troviamo un grande messaggio di speranza, di fiducia nel futuro, oserei dire fiducia nella politica. E qui il discorso scivola nell’attualità. L’euforia della partecipazione popolare alle tornate elettorali è andata scemando via via nel corso degli anni. C’è stata grande partecipazione quando si pensava che la scheda elettorale potesse cambiare le condizioni economiche e sociali dell’elettorato. E questo c’è stato dal dopoguerra fino agli anni Settanta, fin quando cioè le lotte studentesche ed operaie sembrava potessero riformare la struttura sociale. Dagli anni Ottanta è stato un lento declino della partecipazione alla vita politica del Paese. La maggioranza bulgara che si recava ai seggi elettorali è diventata minoranza italica. Questo è avvenuto a causa della discrepanza continua che c’è stata tra la volontà popolare e le decisioni del potere politico. I programmi elettorali dichiarati e proposti agli elettori sono stati umiliati dalle successive scelte dei rappresentanti eletti. Di esempi si potrebbero riempire pagine e pagine, alcuni dei più recenti: si è promesso la cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, invece se ne convalida la permanenza peggiorandola…  è chiara la manifestazione popolare di non inviare armi o militari all’estero (come da dettato costituzionale) invece i rappresentanti politici, democraticamente eletti, continuano imperterriti…

La democrazia si difende con la partecipazione, con il voto, questo ce lo dice il film “C’è ancora domani”: ce lo hanno detto le nostre bisnonne, le nostre nonne, le nostre madri, ma noi lo potremo dire ancora ai nostri figli o ai nostri nipoti?

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.