Quella volta che ho fumato sano, ho fumato pakistano. E non sono morto.

Un’iniziativa discutibile promossa all’insegna della ‘tolleranza zero’ dagli esponenti della Lega piacentina, oggi al governo dei Comuni di Piacenza e di Fiorenzuola d’Arda. Un titolo forte. Come tale fuoriluogo e controproducente. Inutile. Proprio come l’iniziativa. Che non si capisce se vuole colpire l’ambiente dello spaccio (che se la ride) o quello dei giovani consumatori ‘non allineati’ con l’oscurantismo di una destra da sempre, a partire dal vate Gabriele D’Annunzio, dedita all’uso di sostanze stupefacenti di ben altri effetti. E che, in ogni caso, esagerando, scegliendo il sensazionalismo, non aiuta e non insegna niente a nessuno. Voglio ricordare gli anni ’70. Ero in un momento di svolta della mia vita. Avevo 25 anni e la necessità di uscire da una ‘scoppola’ sentimentale piuttosto pesante. Un amico legato al mondo della musica, Alberto, mi disse “fatti una canna“. Come dire che non avrei risolto i miei problemi (a quelli dovevo comunque pensare io) ma mi avrebbe fatto passare una bella serata senza rischi di sorta o comunque non più dei rischi che potevo correre fumando una sigaretta di tabacco che, quella sì, presto o tardi m’avrebbe portato alla morte per cancro ai polmoni (così, ad esempio, se n’è andato mio padre, sia pure ad 86 anni e se ne va Sergio Marchionne che di anni ne fa appena 66). Ed eccomi dunque col mio bel pane di sano pakistano. L’ho tenuto per un pò ‘in stand by‘ fino all’occasione che si presentò un sabato sera. In provincia di Mantova sul prato di uno stadio ad ascoltare il concerto del grande Joe Cocker. Uso consentito approfittando del fatto che all’appuntamento musicale andammo in due e appunto Mino guidava completamente ‘pulito‘ (non si faceva nemmeno di birra o di vino). Fu un’esperienza fantastica. Con la musica ‘vissuta dall’interno‘ e una nuova visione della vita semplicemente serena. Credo, sdraiato nell’erba dello stadio, di aver riso per buona ora, completamente distaccato dai problemi, vivendo una specie di terapia di cura, di estraneità, di superamento delle malinconie comprese quelle sentimentali. In fondo era stata una storia assolutamente straordinaria che comunque aveva lasciato un segno indelebile nella mia vita. Come tale una storia che valeva la pena aver vissuta e che sarebbe stata seguita (come poi è stato) da altre storie o forse ancora meglio da un’altra storia dal destino diverso. Non che quella fumata avesse rimarginato le ferite, però fu un buon viatico per capire che un nuovo domani poteva esistere e sarebbe esistito. Anzi, la consapevolezza che credendoci sarebbe arrivato, senza rifugi virtuali, senza bisogno del ‘fumo’. Tornato così alla realtà quotidiana quel panetto (ciò che ne restava utile per almeno altre 5 o 6 fumate) l’ho nascosto nella cassettiera della mia scrivania lontano dagli occhi indiscreti (e sempre preoccupati) dei miei genitori. Dopo qualche anno, in prossimità di matrimonio con la mia attuale compagna, l’ho gettato via. Poteva essere troppo ‘pericoloso’. Nel senso che ti portava ad una visione della vita in azzurro e rosa mentre la realtà va affrontata con la massima lucidità, senza e oltre le illusioni dolci offerte da quel buon pakistano. Così ho affrontato la vita e oggi, 40 anni dopo, non sono morto. 17 anni fa ho invece smesso, dopo 30 anni di abusi, col tabacco che, a detta di un medico ospedaliero, Daniele, mi lasciava forse non più di un anno di vita e quello era un rischio vero, immediato, a scadenza brevissima. Sarebbero da citare anche i rischi corsi all’insegna del buon Bacco. Quando a Modena, ospite nella villa di una collega dell’ufficio personale della Fiat Trattori, un eccesso di libagioni, dopo pochi chilometri in autostrada sulla via del ritorno, ci volle poco a capire che o mi fermavo nell’area di sosta dell’Autogrill a dormire o salutavo amici, amiche, Venere e parenti per sempre. Lo stesso avvenne a notte inoltrata alla festa dell’Avanti nell’area del palazzetto dello sport invitato ad assaggiare due ‘beveroni’ (si legga potentissimi cocktail) offerti da Juan, esule cileno torturato dagli sgherri di Pinochet: salito in macchina, avviato il motore, bastarono dieci metri e, dopo aver rischiato di finire contro un lampione, spensi il tutto e via a dormire dove, verso le 5 del mattino venne a recuperarmi mio padre preoccupato ma, rassicurato dal vedermi dormiente, tornò a casa tranquillizzato. A proposito, di cannabis non è morto  neanche Alberto che con la sua attuale compagna vive coltivando l’orto e allevando un paio di caprette forse continuando a fumare qualche canna. Non è morto neppure Paolo che all’epoca fumava regolarmente e faceva il poliziotto e continua a farlo in vana attesa di pensione. Non è morto il giovane Enrico che, ormai cresciuto, vive mediamente realizzato nel mondo della produzione di video. Altri invece sono morti. Per effetto di ben altre droghe. Dell’eroina, della cocaina, del tabacco, delle troppe birre, del troppo vino, degli alcolici, della guida nella notte con la percezione della realtà alterata. Diciamo la verità: bene facevano i seguaci del movimento di Salvini a proporre una seria discussione sugli effetti di tutte le sostanze stupefacenti. Magari invitando esperti del settore e prescindendo dai titoli semplicemente ad effetto. Allora sarebbe stata una cosa seria, che magari poteva davvero aiutare qualche ragazzino a ‘scegliere con prudenza‘ quale strada di vita intraprendere. A questa iniziativa di scarsissima scientificità, invece, per quanto mi riguarda sceglierò l’alternativa della peggiore delle droghe: una serata in poltrona in salotto, davanti al televisore con un buon libro in mano e, ne sono sicuro, dopo qualche pagina e un orecchio distratto a seguire qualche programma, mi assopirò tranquillo per domani presentarmi pimpante al lavoro.

Misano Adriatico, Santa Monica Festival Rock, 1974

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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