“L’infiltrato”, racconto testimonianza di Vindice Lecis, Nutrimenti edizioni

Gli anni nei quali si arrivò ad un passo dalla rivoluzione, gli anni di piombo. Non solo terrorismo da parte di pochi ma anche fenomeno di massa che ha coinvolto tanti ragazzi di allora, pronti anche a sparare e naturalmente a rischiare di persona. Il Paese dei democratici si spezzò in due: chi aprìva al tentativo di dialogo se non proprio con le forze più apertamente dedite al terrorismo quantomeno nei confronti dei movimenti e chi invece riteneva che per difendere lo Stato democratico nessun ‘cedimento’ fosse possibile, qualsiasi fosse il prezzo da pagare. In realtà la forza dello Stato stava nella consapevolezza che comunque l’eversione non aveva il consenso della maggioranza del popolo. Per questo, anche di fronte a situazioni estreme, la trattativa poteva essere momento di forza salvaguardando la vita dei rappresentanti della democrazia. Così, ad esempio, nel caso dell’omicidio di Aldo Moro che, una volta avvenuto, segnò il punto più basso del consenso da parte delle Brigate Rosse e sostanzialmente la fine delle stesse e delle diverse forze fiancheggiatrici. Una linea, quella del dialogo, assolutamente estranea alla politica del PCI che, nel fenomeno dell’eversione, vedeva messo in discussione il proprio stesso consenso che pure aveva raggiunto i suoi massimi livelli storici: facile per la destra e i rappresentanti della moderazione di centro evidenziare presunte connivenze quantomeno d’origine politica tra la sinistra rivoluzionaria e i comunisti di Berlinguer. Il libro di Vindice Lecis ci rivela di come il Pci, per non veder svanire la possibilità di legittimazione all’ingresso nel governo del Paese, operò per individuare e denunciare i soldati della lotta armata collaborando con gli organi dello Stato e con il generale Dalla Chiesa in particolare infiltrando un iscritto in un gruppo di fuoco del movimento. Era quella la strada giusta? Vengono alla luce, pur con la dovuta riservatezza, azioni di spionaggio, documenti interni, riunioni riservate, l’attività di controllo e denuncia nelle fabbriche. Di un’epoca bagnata appunto dal sangue di Aldo Moro e di Guido Rossa. I dubbi, le perplessità, l’ipotesi che potesse esistere una terza via, che non tutte le responsabilità del terrorismo fossero estranee alle deviazioni delle strutture dello Stato stesso, restano ancora oggi un interrogativo senza risposta.

Aldo Moro, opera di Michele De Meo

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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