“Dicono di Clelia”, romanzo di Remo Bassini, Mursia editore

Una gita all’Elba nel lontano 1974, un anno dopo il diploma e poche settimane prima di partire per la naja. Una lunga importante storia d’amore con Giuliana fallita alle spalle, un’altra con Antonella svanita nel nulla in pochi mesi e lì, all’Elba, l’incontro con Giovanna. Io ventanni, lei diciassette e un morosino lasciato a casa, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Parole, parole, parole, passeggiate mano nella mano e mille sorrisi e luminosi occhi splendenti. Poi il ritorno a casa, in pullman, lei seduta sulle mie gambe. Quando finalmente, dopo ore, le nostre labbra stavano per incontrarsi, un’amica l’ammonì, “puttana!”, urlò ergendosi a custode della serenità del ragazzino in trepida attesa del ritorno e l’incantesimo svanì. Non era quello il momento giusto per il nostro incontro e, poi, non fu più momento.

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Lentamente, sferragliando, il convoglio in arrivo da Bologna si fermò in stazione e il capotreno mi sollecitò a salire in vettura: a Cuneo, in caserma, una divisa grigioverde m’aspettava. Io e Giovanna, pur vivendo nella stessa città, non ci saremmo incontrati né cercati mai più. Negli anni ho avuto lontane notizie sue da un’amica comune, Stefania. Giovanna ha aperto un negozio, poi un matrimonio, due figli. Come del resto io sono salito all’altare, sto crescendo due figli. Poi quel negozio ha chiuso i battenti ed io ho perso definitivamente ogni possibile aggancio con quel sogno giovanile troppo breve per lasciare il segno: chissà se i nostri sentieri si sono mai più incrociati, non l’avrei forse nemmeno riconosciuta.

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Resta però un dolce ricordo, forse una punta di rammarico. Per quel che poteva essere e non è stato. O magari semplicemente rammarico per quegli anni ormai lontani. Per i sogni, le speranze di quei giorni con un futuro ancora tutto da costruire, ancora carico di illusioni.

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Era poco dopo il tempo delle mele verdi, il tempo degli studi: finita la naja per me sarebbero iniziati i tempi dell’Università, tempi ormai incisi nella memoria, indimenticabili e così Giovanna, in qualche modo, non l’ho dimenticata mai.

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Proviamo allora ad immaginare oggi, trenta e più anni dopo, una crisi matrimoniale con Dalila. Provo ad immaginarmi, solo, in un disordinato mini appartamento senza moglie, senza figli, a riflettere sul senso della vita e, distrattamente, a far “zapping” alla Tv passata la mezzanotte. Distrattamente osservare le immagini di ritorno dal video, immagini di uno streap, uno spettacolo ormai abusato, tanto ordinario da risultare quasi banale. Fin quando, improvvisamente, strabuzzando gli occhi per l’incredulità, immaginiamo mi capiti di riconoscere proprio lei, Giovanna.

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Proprio come il protagonista del romanzo di Remo si imbatte in uno spogliarello televisivo dove gli sembra di riconoscere Clelia, una compagna di università della quale ha perso le tracce da anni.

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Un romanzo che, a quel punto, non ho potuto far altro che letteralmente divorare.

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Certo, oltre alle personali vicende d’amore rimaste sospese, ha inciso il fatto che Remo l’ho incontrato di persona nella sua Vercelli, che non posso far altro che provare simpatia per il fatto del nonno socialista, che di Remo avevo già letto il suo primo romanzo (Il quaderno delle voci rubate, edizioni La Sesia, 2002). Incide anche il fatto che ha acquistato copia del mio libro poetico pargol del cor riconoscendo che i libri degli amici si pagano, non si pretendono in regalo. Incide infine il fatto che difficilmente perdo l’occasione di un salto nelle pagine virtuali del suo blog.

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Concludendo?

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Devo decidere”, dice il protagonista nell’ultima pagina del romanzo, “a casa mia o da Clelia?

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Non resta che leggere, per sapere quale sia la decisione alfine della narrata vicenda in questione, in bilico tra il giallo e il moderato soffuso erotismo.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

5 Risposte a ““Dicono di Clelia”, romanzo di Remo Bassini, Mursia editore”

  1. “quel sogno giovanile troppo breve per lasciare il segno”: non direi!

    (se non l’avessi già letto, ora seguirei il tuo consiglio. mi “porto via” il ricordo evocato…)

  2. Provo ad immaginarmi, solo, in un disordinato mini appartamento senza moglie, senza figli, a riflettere sul senso della vita e, distrattamente, a far “zapping” alla Tv passata la mezzanotte.

    A me Dicono Di Clelia ha lasciato la tristezza dei rapporti interrotti, del riprendere in mano la propria vita e scoprire che non c’è più, quella vita e che fino a poco tempo prima non ci si faceva caso e lo si accettava felicemente.

    Paradossalmente l’ho visto come un incitamento a riprovare a ricostruire i rapporti che scivolano via, a non arrendersi.

  3. Ho letto anche io, Dicono di Clelia.

    Un romanzo che narra di una donna che porta il mio nome. Forse mi coinvolge di più?

    Strano, particolare. Mi è piaciuto.

    Magari, provo poi a dire anche la mia.

    Carina, la tua recensione. Che è (anche) un raccontare di te.

    Ciao

    Clelia

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