“Un ricordo: la mia Albania”, testimonianza di Armando Ginesi, critico d’arte, già giornalista con Il Messaggero, presente in fb

La rivolta degli studenti contro il governo comunista di Ramiz Alia (successore del despota Enver Hoxa la cui statua, in Piazza Skanderberg a Tirana, era già stata abbattuta) si svolse nell’inverno del 1991. Io ero già stato nella capitale albanese più volte durante l’anno: i miei viaggi avevano una frequenza bimestrale. Accompagnavo il medico italiano Giovanni Gara per la consegna, alla sezione skypetara della Croce Rossa Internazionale, di latte e medicinali per bambini, dapprima come iniziativa personale e dopo per incarico del Rotary Club. Gara era già stato una volta a Tirana, prima di me, per gestire la prima consegna, assieme a Sergio Crescentini, un ottico di Arcevia. In sostanza noi fummo tra i primissimi occidentali ad entrare in Albania negli ultimi mesi del governo comunista. Eravamo molto popolari: ad ogni nostro arrivo la TV di stato ci intervistava sulla terrazza dell’Hotel Tirana, nella piazza dedicata al condottiero Giorgio Castriota Skanderberg, il simbolo dell’indipendenza nazionale, il quale, nella prima metà del quindicesimo secolo, aveva combattuto i turchi e li aveva respinti oltre frontiera. Quando vi giunsi io, il paese era allo stremo: sembrava che fosse finita da poco una guerra. Macerie, strade sconnesse, popolazione affamata erano la conseguenza di quasi cinquant’anni di isolamento dal resto del mondo sotto uno dei governi più dispotici dell’era contemporanea. L’intera nazione aveva un aspetto fantascientifico, strapiena com’era di calotte di bunker che fuoriuscivano dal terreno. Le si trovava nelle vie cittadine, in campagna, in riva al mare. Erano delle garitte seminterrate che, secondo il dittatore, sarebbero dovute servire per alloggiare ciascuna uno o due militari armati di mitragliatrice a difesa dagli attacchi di ipotetici nemici capitalisti. Con settecentomila di questi mostri di cemento disseminati in appena ventimila chilometri quadrati (come dire venticinque bunker ogni chilometro quadrato) Hoxa teneva in tensione il suo popolo e lo distraeva dal problema drammatico della miseria in cui lo costringeva a vivere.

Un esempio di bunker di cui era disseminato tutto il territorio albanese durante la dittatura di Hoxha.

Abbiamo anche attraversato qualche brutto momento, come durante gli esodi di migliaia di albanesi che, nel porto di Durazzo, avevano sequestrato alcune navi per dirigersi verso l’Italia e poi, una volta sbarcati, erano stati rinchiusi nello stadio di Bari e sfamati mediante il lancio di pane dagli elicotteri. Non fu un bell’esempio di accoglienza, quello, da parte italiana, anche se va riconosciuto che il fenomeno si presentò all’improvviso, di enorme entità, trovando impreparati il nostro governo e le strutture ricettive della Protezione Civile. In quei giorni i miei amici ed io ci trovavamo a Tirana in attesa che arrivasse al porto di Durazzo la nave Palladio, proveniente da Ancona, con latte e farmaci a bordo.

Arben Xoxa (a destra) al poverissimo mercato di Tirana in una foto di Armando Ginesi del 1991.

Ma il comandante non ritenne opportuno attraccare in porto, per timore di essere assaltato e sequestrato, sicché gettò le ancore in mare aperto. Il timore di tutti noi era che l’intero carico andasse a male. Per fortuna, nel giro di una settimana, le acque sembrarono calmarsi e la nave fu fatta entrare in gran segreto a Porto Palermo, verso il sud del paese a poche miglia da Himarra, da dove gli aiuti alimentari e medicinali vennero poi trasferiti a Tirana sotto scorta dell’esercito e della polizia. L’avventura albanese mi fece conoscere un giornalista della capitale, già responsabile della produzione cinematografica della televisione nazionale. Il suo nome era Arben Xoxa, figlio del noto scrittore scomparso Jakov (autore, tra l’altro, del romanzo Il fiume morto). Diventammo amici. Venne a trovarmi in Italia molte volte. E’ purtroppo prematuramente da scomparso due anni fa. Era sposato con Valbona e sua figlia Ajola è poi diventata la moglie di Erion Veliaj, sindaco di Tirana.Con Gara gettammo le basi per la creazione di un club rotaryano a Tirana. Le prime mosse le facemmo quando ancora governavano Ramiz Alia e il partito comunista. Ricordo che ci incontravamo, per parlare della cosa, in un caffè di Roma non lontano da Via Asmara, sede dell’Ambasciata albanese, Giovanni Gara, io, Mohamet Muscellari, consigliere culturale, e Jakob Mato, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Tirana. Sembravamo carbonari dell’Ottocento e gli amici albanesi erano molto guardinghi e facevano di tutto perché quanto ci stavamo dicendo non venisse ascoltato da estranei. Ai loro occhi di gente cresciuta nell’insegnamento anticapitalistico di Hoxa, parlare di Rotary e progettarne addirittura la costituzione di un club in Albania, doveva sembrare un pericoloso cedimento all’Occidente sfruttatore, tanto più che il Rotary è un organismo internazionale con casa madre negli Stati Uniti.

Edi Rama, Presidente della Repubblica delle Aquile.

Fui anche promotore di un accordo di collaborazione tra l’Accademia di Belle Arti albanese e quella di Macerata che venne firmato nella sede dell’istituto di Tirana, situata alla fine di Viale Nuova Albania, all’interno dell’edificio piacentiniano che ospitava l’Università (sostanzialmente una copia del Palazzo della Civiltà dell’Eur di Roma). Componemmo una commissione per la scelta di opere di giovani artisti skypetari da presentare al Premio Internazionale “Giambattista Salvi e Piccola Europa”. Presieduta da Jakob Mato era composta da me e da un giovanissimo, alto e all’allampanato bravissimo docente dell’Istituto, Edi Roma, datosi poi alla politica e oggi Capo dello Stato.Il club rotaryano crebbe in fretta anche a seguito della caduta del comunismo e con l’avvento al potere del Partito Democratico. Io fui invitato dal ministro della cultura del primo governo democratico, il porta Prec Zogaj, di cui diventai amico, a collaborare con il nuovo corso.L’Albania divenne appetibile pure sotto il profilo del business e, come di solito succede, incominciarono ad interessarsi del paese adriatico anche coloro che prima non lo aveva degnato di una benché minima attenzione. Costoro presero a sgomitare e a cercare di occupare le prime posizioni, abusivamente ma decisamente. Con la mia usuale attitudine alla discrezione, ho iniziato a fare qualche passo indietro, anche un po’ disgustato, per la verità, da questa specie di assalto alla diligenza. Così mi sono ritirato, prima dall’Albania e poi dal Rotary Club.Intanto però ho cercato di mantenere rapporti di amicizia con alcuni personaggi, primo fra tutti Xoxa (che oggi, come già detto, è prematuramente venuto meno dopo essere diventato uno dei più importanti editori di storia nazionale del Paese) e, come già detto, il poeta Zogaj che avevo conosciuto subito dopo la sua nomina a ministro della cultura del governo succeduto nel 1990 a quello comunista e nel 1992 a quello socialista riformato. Elaborammo anche dei progetti insieme per dare impulso ad una nuova politica culturale nel suo Paese, ma egli al governo rimase poco tempo e le nostre idee rimasero sulla carta. L’unica cosa che riuscii a realizzare fu una mia donazione personale al comune di Lezha, a nord di Tirana, di una raccolta di arte grafica contemporanea italiana che avrebbe dovuto diventare il nucleo fondante di un museo dedicato alle arti visive del Novecento. Pregai il Rotary Club di farsi promotore della consegna. Non ho più saputo che fine abbiano fatto le cento e più cartelle serigrafiche, di altrettanti autori, da me donate.Dopo aver lasciato l’incarico da ministro, Zogaj è stato quasi sempre deputato nel parlamento albanese (almeno fino alle ultime elezioni del 2009) anche con incarichi di una certa rilevanza quale quello di consulente per gli affari culturali del primo ministro e del Presidente della Repubblica.Credo che oggi egli – come quasi sempre succede agli intellettuali che si lasciano sedurre dalla politica – abbia ripensato le proprie scelte e sia saggiamente ritornato al suo lavoro di poeta. Un’altra conoscenza, risalente allo stesso periodo, lo ripeto, fu quella con Edi Rama, pittore anch’egli datosi alla carriera politica. Nell’anno 2009, dopo essere diventato Sindaco di Tirana, ha sfidato il premier uscente Sali Berisha che tuttavia non è riuscito a superare anche se per pochi voti. Oggi egli è il leader del Partito Socialista d’Albania e Presidente della Repubblica.L’evoluzione della società albanese ha creato negli anni successivi un paese diverso da quello che io ho conosciuto. Le dinamiche sociali e quelle democratiche hanno consentito la nascita di più formazioni politiche e, in qualche modo, il confronto dialettico tra le parti sociali ha reso possibile il formarsi di un’architettura istituzionale ancora tutta da perfezionare, tuttavia operante con efficacia. Certo il rischio di un inserimento troppo rapido nell’ottica dell’economia capitalista gli skypetari lo hanno corso e forse lo stanno correndo ancora. Ma di certo la ricchezza culturale sedimentata nella loro storia li aiuterà a diventare rapidamente un paese pienamente europeo. Quello albanese è un popolo orgoglioso: l’importante è che questo sentimento non prevalga sulla ragione impedendo una sintesi equilibrata tra il senso delle proprie radici e il rispetto di quelle altrui, senza la quale è impossibile ogni confronto e ogni collaborazione proficua tra gli stati.Gli Italiani non conoscono abbastanza di questa fiera civiltà di montagna che possiede terre bellissime le quali, dall’interno montagnoso, si distendono fino al mare Adriatico. Eppure essa è ricca di testimonianze storiche, dalla città romana di Apollonia (a sud-ovest della capitale, non lontana dal mare) alla stupenda urbanistica spontanea di Berat (a sud di Tirana) che conserva, tra l’altro, un museo ricco di icone ortodosse, la maggior parte delle quali sono state realizzate da Onufri nel XVI secolo.

Tirana, Piazza Skanderbeg, simbolo dell’Indipendenza Nazionale.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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