“Sud-Est”, in viaggio con Steve McCurry tra orrore della guerra e amore per la vita, a Milano fino al 31 gennaio

Sharbat Gula

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Una giornata a Milano, un tranquillo sabato tra le luci della grande metropoli. In piazza Mercanti, tra le bancarelle natalizie, delizie siciliane e gadget per tutti i gusti. Disciplinati in coda per entrare a Palazzo della Ragione, quattro passi dopo piazza Duomo.

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Antichissima sede della municipalità, dal XVIII secolo destinato ad archivio notarile dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria, un salone al primo piano di circa 1000 metri quadrati che sembra l’ideale per esposizioni.

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Un parere condiviso dall’amministrazione comunale, con destinazione prioritaria a mostre fotografiche. Una giornata a Milano. Per ammirare gli scatti di Steve McCurry, con Dalila non esitiamo ad esercitare un salutare “salto del pasto” con l’illusione di gabbare altri centinaia di visitatori.

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Nulla di chè: coda era e coda rimane. Ascoltiamo una ragazza sulla trentina, grassottella, bassottina e un po’ tortellina con un bel viso e il sorriso simpatico. Col cellulare rosa, tanto per ingannare il tempo, telefona ad un’anziana conoscente, tutto bene, come va, passate bene le feste, il pranzo di Natale com’è andato? Una promessa per finire, stia bene, no, no, non si senta sola, presto passo a far due chiacchiere, a stare in compagnia. Intanto il ragazzo che sta con lei, alto, dinoccolato, nero di pelle ma con l’animo candido, chiama casa, laggiù in terra di Liberia.

Potenza dei cellulari, c’era il tempo in cui girato l’angolo di casa eri irraggiungibile, ora si saltano fossi e continenti. Il mio babbo saltava i canali per il lungo, diceva un po’ sborone al suo figlioletto un po’ pigro e caprone. Oggi con un tu-tut eccoti nel continente nero. Non si capisce una parola di quel che il giovane liberiano racconta alla casa lontana, ma s’intuisce: tutto bene, lui sorride. Lei, la tortellina bianca simpatica e carina, lo guarda con gli occhi dolci, con qualche fatica, alzandosi sui tacchi, gli accarezza la testa pelata, deve far freddo, lassù in alto, dice. E lui sorride di nuovo, esaltando il contrasto dei denti bianchissimi.

Dieci minuti, venti minuti, arriva gente, misura la coda, alcuni vanno via, un padre convince la figlia, poi ritorneremo, chissà come, chissà quando. Sulle scale la maschera tenta di estrarre la sigaretta dal pacchetto senza togliere i guanti. Infine desiste, toglie il guanto, vento a parte in fondo non è poi così gelida, la giornata, s’è visto e vissuto di ben peggio.

Ogni tanto qualcuno scende le scale ed esce, la maschera ne conta otto e otto fa entrare. Ad un turno entrano in quattro, gli altri si bloccano, siamo un gruppo, dicono, siamo in sette. Quattro e sette non fa otto, si discute un secondo, quanto basta a due italiani appena arrivati, s’infilano veloci e chi s’è visto, s’è visto. Ma scusi, perché quelli sono entrati? Che ne so, dice la maschera tirando una sana boccata di fumo, nicotina e catrame, mica tocca a me controllare. Siamo dunque tutti codisti volontari?

Les italiens. Quelli impuri, che si vogliono europei e quelli puri. I primi disciplinati in coda ad aspettare, gli altri s’intrufolano e fanno prima in barba aux italiens quelli impuri. Si discute ancora su chi deve controllare, arriva un padre con moglie e due figli, s’infila nello spazio vuoto e sale le scale. La coda rumoreggia invano, la maschera si sposta a coprire lo spazio. Come chiudere la stalla ormai a buoi andati.

L’ultimo pensiero prima che arrivi il turno nostro. Le code dell’arte, gente in coda nel sabato di festa, gente assetata, affamate di bellezza e d’arte. Dedicato alla nostra città, Piacenza, al Sindaco e all’assessore alla cultura Paolo Dosi che, di fronte al calar dei fondi in arrivo dal governo di Berlussolini, dove tagliano? Ma sulla cultura, c’est plus facile!

Non resta altro allora che prendere il treno, per un sabato d’arte nella grande metropoli. Un viaggio a Milano per ammirare, prima del 31 gennaio, un amante dei viaggi, Steve McCurry, veterano di National Geographic, quello dell’intensa immagine della ragazza afgana, Sharbat Gula, immortalata in un campo profughi a Peshawar, in Pakistan, fuggita dal suo Paese, fuggita dalla guerra, dagli anni dell’invasione dell’Armata Rossa, dagli anni dell’avvento dei Talebani, dall’arrivo degli Americani, lei, gli occhi d’acciaio, verdi di terrore, di paura, di angoscia.

Il simbolo della pace, soffocata dai bersagli colpiti dal fuoco amico, dagli ospedali bruciati per tragico errore, dalle pallottole dei portatori di pace e dall’esplosione delle auto dei kamikaze, dagli assalti dei signori della guerra e dei capibanda, dai padroni del petrolio e dagli eroi di un Dio assassino addestrati a combattere a viso coperto nei campi in Kuwait.

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notsoyellow.blogspot.com/2009_02_01_archive.html

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Il simbolo della pace, contrapposto agli orrori della guerra. Della miseria. India, Pakistan, Afghanistan, Kuwait. I cammelli in fuga dal deserto in fiamme acceso dai soldati di Saddam per fermare l’avanzata americana, i panorami meravigliosi anneriti dai pozzi petroliferi, i bambini già adulti con i fucili in mano pronti a sparare, i bambini accolti nei monasteri tibetani ancora capaci di essere bambini, la fame, le moltitudini costrette in spazi ridottissimi nella città indiana, la dignità e la bellezza estrema di vite consapevolmente umili.

I volti. Decine di volti. Di tutte le età, di tutte le razze, ciascuno con la propria espressione, la propria storia da raccontare. Occhi, col volto nascosto avvolto nel turbante. L’espressione dei bambini che sembrano cercare di afferrare nella stanza diroccata adibita ad aula quel così immenso, grande sapere che significa cultura, conoscenza e forse domani un domani di pace. Sogno d’un sabato, un sabato a Milano.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

2 Risposte a ““Sud-Est”, in viaggio con Steve McCurry tra orrore della guerra e amore per la vita, a Milano fino al 31 gennaio”

  1. Ci sono stato oggi. Una straordinaria galleria di immagini, volti, situazioni.
    Ma ho trovato l’allestimento penoso e il Palazzo non permetteva neppure l’accesso ai disabili. Una vergogna.
    Ti saluto.
    PS mi sono permesso di citare il tuo pezzo.

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