“Sigfrido” nasce a Bobbio e diventa Regina a Napoli: genesi di una poesia che ha lasciato il segno

Sigfrido” nasce a Bobbio, nell’auditorium Santa Chiara, durante il primo laboratorio poetico voluto da Alberto Bellocchio. Fine settembre 2003. Da qualche mese, dopo anni di “sonno”, avevo ripreso la penna in mano rimettendo mano ai racconti scritti nei primi anni novanta. Sul quotidiano locale era uscita la notizia del laboratorio di Alberto, sindacalista da qualche tempo votato alla poesia (all’epoca aveva dato alle stampe “Sirena operaia”, un volume che aveva saputo far parlare di sé).

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Un’occasione ghiotta, un’esperienza fondamentale. Mentre Alberto Bellocchio dava lettura delle sue composizioni, mentre raccontava di sé Gianni d’Elia, mentre mi entusiasmava con la sua semplicità la poesia di Vivian LaMarque, seduto in quinta fila mi abbandonavo al demone poetico e, dopo anni di assoluta e totale astinenza, riempivo il bloc notes di versi.

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Nove poesie in tre giorni, sintesi del mio vivere di allora. Un vivere che aveva come basi la negazione della guerra e l’incapacità di capire un’Italia schierata con Fini e Berlusconi, l’Italia della polizia “finalmente” con licenza di attaccare il dissenso in barba ai principi della democrazia, l’Italia dei picchiatori in divisa della scuola Diaz di Genova, l’Italia partita a mostrare i muscoli e la canna del fucile al mondo islamico al fianco di Bush e Blaire.

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Così, mentre Vivian leggeva dei suoi cucchiaini (una poesia delicatissima), ricordando un po’ “Il cacciatore”, un po’ “Apocalypse now” con un pizzico di “Mediterraneo” e un rimando ad “El Alamein”,  descrivevo lo scenario della morte di un soldato qualunque.

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Rimandando al mito di Sigfrido, a tutti quei miti che, in ossequio alla cultura della destra guerraiola, tali diventano perché morti per un ideale, perché morti come eroi, come guerrieri.

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Morire da eroi, esaltazione della morte eroica che diventa valore sublime.

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No, non ci sto: la morte è morte, la morte è fine di tutto punto e basta. Sigfrido non è un eroe, è solo un poveraccio che non vive più. Non importa perché muori, la fine di tutto è sempre una tragedia individuale, non esiste una “bella” morte e tantomeno una morte “giusta”.

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Pochi giorni dopo casualmente, navigando in internet, trovo notizia del concorso “Beato Gaetano Errico” di Napoli: bastava inviare una composizione via mail e la scelta è caduta proprio su “Sigfrido”, inno alla pace, alla vita, negazione della guerra.

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A fine ottobre arriva la comunicazione che “Sigfrido” è stata giudicata meritevole del primo premio dalla giuria. Talvolta le nostre sorti s’incrociano con gli altrui destini e cambiano il corso della nostra vita. La commissione giudicatrice leggeva i testi a poche ore dall’assalto alla caserma di Nassiriya, quando tutto il Paese era turbato da quei figli morti in terra straniera in nome di una presunta pace imposta armi in pugno.

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La premiazione era ai primi di novembre, a Napoli Secondigliano. Con Dalila siamo partiti nel cuore della notte e, al mattino, vennero a prenderci in auto per portarci dai padri missionari organizzatori dell’evento. Ricordo una caserma, lungo il percorso, con esposte le bandiere listate a lutto.

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La lettura della poesia, nel salone gremito di persone e di autorità, fu commovente, di grande emozione. L’assessore ai servizi sociali, esponente di Rifondazione, mi abbracciò mentre in prima fila alcuni Carabinieri trattenevano a stento le lacrime.

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Poche ore dopo, nella notte, la camorra faceva esplodere fuochi d’artificio intorno al convento, a significare che loro erano i padroni del territorio. Ma, questa, è un’altra storia, di altre guerre, di altre morti inutili, di altre vite spezzate, di altri morti ammazzati. Magari, anche in questo caso, giusto per caso, giusto perché in quel momento qualcuno passava di lì, sulla linea di tiro della pallottola destinata al figlio di “Ciruzzo O’ milionario”,  il boss all’epoca incarcerato che, di lì a poco, avrebbe scatenato una lotta senza esclusione di colpi tra i capi dei clan camorristi, seminando nelle strade di Napoli cadaveri e meritando la fama di sanguinario senza pietà.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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