“Siamo il 99%” di Noam Chomsky. Recensione di Carmelo Sciascia

Succede a volte di leggere dei libri e di vedere comparire davanti con gli occhi della memoria, insieme al testo che si sta leggendo, un altro libro. È quello che mi è successo leggendo “Siamo il 99%” di Noam Chomsky edizioni nottetempo. Il libro richiamato alla memoria è “Indignatevi” di Stephane Hessel. Ne avevo scritto nel 2011, come di una moderna guida per i giovani, cui l’autore si rivolgeva affinché si indignassero contro l’attuale dittatura finanziaria, perché “l’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti .… Creare è resistere. Resistere è creare”. Adesso scopro con il libro di Chomsky un altro manuale di resistenza, rivolto stavolta non solo ai giovani ma a tutta la comunità. In un’altra opera, “Chi sono i padroni del mondo”, lo stesso autore aveva analizzato i problemi della società contemporanea, precisamente quella americana dagli anni settanta in poi. In questo piccolo libro, quasi un opuscolo di propaganda, si prende in considerazione la soluzione reale che è possibile dare ai problemi politici, economici e sociali odierni, non solo in America ma nel mondo. Sono interviste e conferenze che hanno la capacità di mettere in luce alcune caratteristiche peculiari di una crisi mondiale. In breve, la sua analisi è la seguente: qualsiasi crisi è stata superata ed affrontata (come quella del ’29), dalla convinzione che comunque ce l’avremmo fatta, convinzione condivisa da tutti, disoccupati compresi. Oggi la mancanza di qualsiasi prospettiva porta invece alla disperazione: chi lavora sa che il posto di lavoro è diventato precario, una volta perso, non ritornerà. Fenomeno determinato dallo spostamento dalle attività produttive alla manipolazione finanziaria. I mutamenti dagli anni ’70 in poi, hanno portato a deindustrializzare, delocalizzare ed a fare aumentare il potere delle istituzioni finanziarie. La concentrazione della ricchezza ha quasi eliminato la classe media ed il potere politico si è concentrato nelle mani di pochi: i partiti in vario modo si sono sciolti e dissolti.

Si parte da lontano, da Adam Smith di cui si cita “La ricchezza delle nazioni” e dall’economista David Ricardo, per dire che “Plutonomia” (categoria degna di rendita finanziaria) è la categoria di tutto ciò che fa riferimento ai ricchi mentre il concetto di “precariato” riguarda gli altri, tutti gli altri. E sul termine precariato e precario credo non ci sia nulla da aggiungere: l’economista Alan Greenspan sosteneva che il successo economico dipenda dalla “crescente insicurezza del lavoratore”. L’impossibilità di usare in modo indiscriminato la coercizione fisica in un sistema democratico ha fatto sì che si sviluppasse un apparato per la gestione dell’opinione pubblica, una vera e propria “industria per il controllo delle opinioni e degli atteggiamenti per diffondere il consumismo, la passività, l’apatia, la distrazione” . Ed allora che fare? Bisogna educare, organizzare,mobilitare. Significa “imparare le cose autonomamente”. Comprendere il mondo per cambiarlo. Si impara partecipando, confrontandosi con gli altri: si impara dalle persone con cui ci si relaziona. Questo credo sia l’essenza della sua concezione politica, anarchica in qualche modo. Nessuno ha in esclusiva, dice il Nostro,il concetto di Anarchismo. Spesso ci si interroga su come possa essere una società anarchica, questa è una domanda priva di significato ci dice Chomsky, tant’è che persone che si definiscono anarchiche hanno idee molto diverse tra loro. Il concetto comunque che accomuna i pensatori anarchici è semplice: una società fondata sulla partecipazione libera e volontaria all’interno di un sistema altamente strutturato ed organizzato. Il contrario quindi di caos, termine spesso usato come sinonimo di anarchia.
Una società democratica, organizzata dal basso, dove il controllo dei rappresentanti, la loro nomina e revoca, è di esclusiva appartenenza dei soggetti componenti la società medesima.
È lapalissiano l’esempio riportato. Quando un candidato politico si presenta agli elettori oggi, dice: “Guardate come sono bravo. Questo è quello che farò per voi”. Dovrebbe invece essere il candidato a dire: “voglio parlare con voi” e la gente rispondere: “Bé, se vuoi, puoi venire, noi ti diciamo cosa vogliamo, e potrai convincerci che lo farai; allora, forse, voteremo per te”. Da sottolineare che il mandato dovrebbe potere essere revocato in qualsiasi momento (altro che vitalizi e prebende innominabili)
Per spiegare la sua concezione estremamente democratica, non esita l’Autore a citare, oltre ad Adam Smith, l’ Aristotele delle considerazioni sulla “Politica”, i principi dell’Illuminismo: i ragionamenti si possono confutare non le opinioni, il filosofo David Hume (le cui opinioni accomuna a quelle di Gramsci: l’egemonia culturale viene imposta dai sistemi di potere). La sua idea di anarchia è lontana dalla concezione della filosofa americana Ayn Rand, che col suo individualismo esasperato ricorda Stirner de “L’unico e la sua proprietà”. Avevo letto in una versione dei pocket tascabili della Longanesi, negli anni del liceo, una definizione di Bertrand Russel : “il puro Anarchismo dovrebbe essere l’ideale supremo cui la società dovrebbe avvicinarsi di continuo, ma che per il presente esso è impossibile …”. Ecco la definizione che potrebbe darsi all’ ideale di Naon Chiosky, con la differenza che per il Nostro va eliminata l’idea della sua impossibilità a realizzarsi. Anzi, la creazione di comunità solidali, di mutuo appoggio, di vera democrazia di base, è una risposta indispensabile per contrastare l’idea egemone della società odierna che ha fatto proprio il concetto espresso, un secolo fa da Mark Hanna, quando alla domanda di cosa fosse importante in politica, rispose: “La prima cosa è il denaro, la seconda è il denaro e la terza l’ho dimenticata”.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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