“Quel magico luogo in via Pace dove la poesia fa sognare Piacenza”, intervento di Claudio Arzani in Libertà
Quel maggio del 2014. Quel mese ha rappresentato e rappresenta un momento importante della mia vita.
Era di maggio, nel 1968, quando un mondo giovanile in pacifica rivolta, ‘mettendo dei fiori nelle bocche dei cannoni’, contestava ‘ciò che spesso era mascherato con la fede, i miti eterni della patria o dell’eroe, tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto’. Pretendevano (sognavamo) maggiore giustizia, libertà, equità per tutte le classi sociali, comprese quelle degli ultimi e degli invisibili.
Era di maggio quando iniziava il percorso di vita comune con Dalila, oggi compagna da 37 e moglie da 33 anni.
Era ‘Il maggio’ il circolo culturale del quale sono stato presidente ed era di maggio, nell’ormai lontano 1983, il mio primo giorno di lavoro nella sanità pubblica piacentina.
Ancora: era quel maggio del 2014 quando appariva nelle vetrine delle librerie piacentine “Piacenza poesia, poeti all’ultimo km della via Emilia”, un’iniziativa di Eugenio Gazzola, editore in Piacenza: proponeva la prima antologia in versi all’ombra del Gotico che, unendo passato recente e presente, accomunava venti sognatori nati, vissuti, viventi dalle parti dei cavalli del Mochi e, tra quei venti, stavano le mie poesie.
Ma non solo: era quello stesso maggio del 2014 quando in via Pace, a pochi passi dalla piazza del culto e dei colori del mercato, s’inaugurava il Museo della Poesia per iniziativa di Massimo Silvotti. Un’esperienza, nel tempo a seguire, che è stata innanzitutto di grande umanità. Mi ha avvicinato ad altri poeti, tra loro mi sono confuso, a loro accomunato, da loro arricchito. Massimo, Carla, Stefano, Sabrina, Alberto, Paolo Maurizio, Giusy, Ottavio, Maria Teresa, Luca, Enrica, Gilda, Eugenio, solo per citarne alcuni tra i tanti.
La poesia è fatto individuale, ogni poeta un piccolo mondo a sé stante, ogni poeta con il suo bagaglio, il suo metodo, il suo stile, la sua visione. Ognuno col suo modo di vedere il mondo, di provare stupore e ‘maraviglia’ di fronte alla bellezza e alla profondità dell’essere e del vivere, ciascuno lungo un sentiero suo e suo soltanto di espressione, di modo, di metodo, di visione.
No, non esiste un movimento poetico piacentino e tuttavia, grazie al piccolo museo, ho avuto, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci, di ascoltarci, di proporci, di confrontarci, di crescere insieme individualmente pur ciascuno con il suo proprio essere diverso. Nella città, con e per la città. Che ha dimostrato di aver bisogno dei suoi poeti, di scoprirli, di ascoltarli, di essere accompagnata da quella capacità di uscire dal gelido materialismo di una quotidianità purtroppo orientata sempre meno alla materia dei sogni, delle illusioni, delle speranze, delle utopie che poi comunque sia pur in piccola parte dobbiamo riuscire e riusciamo, tutti insieme, poeti, cultori e semplici uditori della visione onirica, a trasformare in schegge e frammenti presenti nella nostra odierna realtà.
Così mi associo alla preghiera di quanti altri mi hanno preceduto sulle colonne del quotidiano Libertà: non abbia a finire quel piccolo sogno, non siano i calcoli dell’arida economia (il costo ‘interessante’ fissato nel contratto di locazione) a sopprimere l’illusione e la speranza, quella piccola isola racchiusa laggiù, un po’ nascosta dietro quel portone di via Pace, a due passi dalla piazza del culto e dei colori del mercato. Che diventi patrimonio della città, di chi governa questa nostra città, che si identifichi, tra tanti palazzi vuoti sovente in stato di abbandono, una sede, un luogo ‘magico’ che dia ancora respiro a quella che è e deve continuare ad essere un’esperienza patrimonio di tutti.
Vedo. Vedo un’oasi e, lo so bene, si tratta di certo di un miraggio, immagine evanescente ed inconsistente. Vedo l’ex mercato ortofrutticolo lì alla Lupa, di fianco alla stazione delle corriere, tra gas da cattiva carburazione e fumi di scarico, locali oggi abbandonati, rifugio degli invisibili e dei topi che s’aggirano tra le immondizie, vedo riaprire le saracinesche ed apparire botteghe di artigiani dell’arte, pittori, collanari, artisti di strada, grafettari, musici, cantori, illustratori e, al centro, un luogo permanente dedicato alla poesia, un museo nuovo che come araba fenice sorge sulle ceneri del passato.
Stupore, maraviglia, ma perché devo riaprire gli occhi alla desolata realtà? Si studia economia, si sviluppa ingegneria, s’allarga la logistica, nessuno spazio per la poesia. Anche qui sorgerà un altro ‘albero di trenta piani’ in ferro e cemento? Povera, povera la mia città.
Claudio Arzani
(intervento pubblicato da Libertà, quotidiano di Piacenza, nell’edizione di sabato 3 dicembre 2016)