“Qualche considerazione sulla mafia oggi: Cosa nostra S.p.a. di Sebastiano Ardita”, riflessione di Carmelo Sciascia

Diciamo che logica ed abitudine vuole che, i libri come i giornali, si debbano leggere dalla prima all’ultima pagina. In alcuni casi questo procedere cronologico non interessa affatto. Tant’è che di alcuni libri interessano solo alcuni capitoli (alcuni passi si mandano perfino a memoria), di alcuni giornali si leggono solo gli inserti (caso tipico il domenicale del Sole 24ore), mentre altri giornali si leggono dall’ultima alla prima pagina. Quest’ultimo caso è stato l’approccio tipico con cui si leggeva Libertà, dai primi anni duemila al 2015, anni della massima diffusione del quotidiano piacentino. Questo è un metodo significativo perché indice di un interesse particolare e di un coinvolgimento diretto del lettore verso la pubblicazione. Lo chiamerei se fossi un teorico della comunicazione: “Indice Economico della Lettura”. O in sigla lo IEL: espressione di un interesse particolare e sensibile da parte del lettore, fruitore ultimo del prodotto letterario che in questa fase si trasforma in parte attiva, sceglie e seleziona cioè gli argomenti che gli sono più congeniali e lo legano alla linea editoriale. C’è una pagina, l’ultima, del libro di Sebastiano Ardita “Cosa Nostra S.p.A.” (edito PaperFIST-2020) che riporta una frase pronunciata dal Principe Uzeda (dai “Vicerè” di Federico De Roberto): “Quando c’erano i viceré eravamo viceré, adesso che c’è il Parlamento lo zio è entrato in Parlamento”. L’equivalente del “Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”, come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo”. Il libro parla di mafia, non è un saggio di critica letteraria, di mafia così come si manifesta oggi al Sud come al Nord, e di come bisogna intendere l’antimafia oggi. Temi concentrati nell’ultima parte, motivo per cui il libro si potrebbe leggere al rovescio, iniziando proprio dagli ultimi capitoli. Da non trascurare infatti che noi, da piacentini, del fenomeno mafioso non ci possiamo considerare esclusi. E per un altro motivo che è poi la tesi principale del libro. Il concetto di “concorso esterno”. Un tempo c’era la mafia, come siamo stati abituati a conoscerla attraverso i film ed i libri di genere, rappresentata da bande più o meno armate, guidata da una Cupola, intenta a taglieggiare, a corrompere, a cercare appoggi politici. Esisteva cioè un gruppo di persone che costituiva l’espressione mafiosa vera e propria, che si avvaleva per sbrigare certe pratiche di un contributo esterno. Oggi, come sostenuto dal giudice Salvatore Mastroeni nell’ordinanza cautelare BETA del 2017 esiste “una mafia pulita, ricchissima e impunita, posta nel salotto bene della città”. Certo simile definizione aveva riguardato uno specifico procedimento, ma secondo Sebastiano Ardita quello che “veniva considerato un tempo il concorso esterno – il mondo delle corruzioni, degli appalti, degli appoggi trasversali, delle rivelazioni di segreti strategici; i rapporti politici; la protezione dei latitanti; l’agevolazione negli investimenti – è oggi la vera essenza della mafia”. Oggi la diffusione delle complicità è così vasta che più che di concorso esterno si potrebbe parlare di una mafia nascosta e diffusa. Si tratterà solo della città di Catania, città cui si riferisce la maggior ricostruzione dei fatti di mafia o è un monito sottinteso per la maggior parte delle città italiane?

Il dubbio mi sorge spontaneo nel momento in cui si sostiene che manca nelle nostre città una seria riflessione sul concetto di “bene comune”. Nel senso che la città, con tutti i suoi annessi e connessi geografici e storici, è stata pian piano sostituita da un “non luogo, dove nulla appartiene a tutti e tutto ciò che è pubblico può essere rapito”. Basti dare uno sguardo alle periferie delle nostre città per capire come sono interscambiabili, da città a città, da regione a regione. La creazione di enormi are commerciali si dice che porti solo un notevole vantaggio alla collettività a monte di un investimento privato. Da tenere presente che il cambio di una destinazione d’uso di un’area porta ad un inevitabile incremento dei valori dei terreni e la scelta di sacrificare un bene pubblico come la disponibilità di terreni agricoli. La creazione di nuovi posti di lavoro è inversamente proporzionale alla chiusura di piccole partite iva e di altre molteplici attività economiche dei centri storici. L’impatto sociale è drammatico: la fine di secolari attività artigianali, fine dei negozi di vicinato, aumento dell’inquinamento atmosferico conseguente all’aumento del traffico veicolare. Anche se molte attività elencate esulano da qualsiasi valutazione penale, bisogna comunque analizzarli attentamente per le implicazioni che possono avere con aspetti speculativi, una speculazione è tale quando si ha una conoscenza anticipata di un determinato evento, cosa diversa dall’attività di impresa dove ci si assume un rischio nell’investimento di un determinato capitale e di un corrispondente lavoro.

Riassumendo: il vulnus, l’elemento costitutivo della mafia rimane l’arricchimento, quest’obiettivo considerata la trasformazione della società, ha fatto sì che avvenisse una vera e propria mutazione genetica. La mafia ha il suo nucleo esistenziale ed essenziale proprio nei cosiddetti colletti bianchi, nell’elemento, una volta marginale che costituiva la cosiddetta zona grigia. Per questo la mafia non è più quella regionale, siciliana o calabrese, pugliese o campana, semmai con questo tipo di espressione regionale ha una certa “simbiosi mutualistica”.  La struttura militare da preminente è diventata una forza sussidiaria: un concorso esterno alla mafia degli affari.

Un discorso a parte merita il tema dell’antimafia. Perché allora torniamo alla letteratura ai Vicerè di De Roberto, che nulla ha da invidiare, pur avendo avuto meno fortuna, al Gattopardo di Tomasi Lampedusa. Se la mafia cambia pelle e metodo così non deve avvenire per l’antimafia, un riferimento diffuso nel territorio cui ogni cittadino onesto deve sentirsi parte attiva vigilando attentamente verso qualsiasi manifestazione della politica. L’antimafia deve essere e rimanere un “cane da guardia” riguardo alle scelte di ogni amministrazione pubblica.
Viceversa, qualsiasi cambiamento, qualsiasi cordata e connivenza si venga a creare con i politici, i magistrati, i giornalisti, le forze dell’ordine o i servizi segreti, può portare ad una degenerazione pericolosa come già ampiamente dimostrato dal caso Montante, vedasi al riguardo “Il padrino dell’antimafia” di Attilio Bolzoni, (ILPIACENZA.IT del 5 agosto 2019), per sottotitolo “Quando il potere mafioso si insedia nelle istituzioni, a Caltanisetta come a Piacenza “. Chissà perché la venuta nella nostra città dell’autore di un libro che trattava della mafia dell’antimafia come Attilio Bolzoni è passata inosservata…

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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