Piacenza: quella casa a Caratta l’ho bruciata io. A difesa della dignità dei profughi.

L’ex osteria di Caratta data alle fiamme da ignoti: doveva ospitare, secondo il Prefetto, una ventina di profughi. [ foto da Libertà edizione di mercoledi 26 novambre ]

Un’osteria abbandonata da anni in un agglomerato di poche case abitate perlopiù da circa 25 italiani prevalentemente anziani, nel nulla del silenzio della piatta campagna emiliana. Un ristorante d’un discreto lusso per i piaceri serali della media borghesia ancora in grado di permettersi il conto finale. Null’altro. Nessun negozio, nessun bar, nulla da fare, nessun marciapiede dove passeggiare, nessun campo da calcio o da tennis, niente bus, nessun collegamento con i paesi vicini lontani qualche chilometro. Nessuna ragazza da ammirare e da sognare nelle lunghe notti. Nessun giovane autoctono magari disoccupato col quale scambiare quattro chiacchiere e magari organizzare una partitella col football.

Un luogo da favola, per gli italiani residenti che tutte le sere lì portano le stanche ossa dopo una dura giornata di lavoro. Un luogo da raggiungere con l’auto, con la motocicletta, il buon rifugio per i figli (invero invecchiatelli) del boom economico che han tutto o quasi tutto l’occorrente per un buon discreto vivere.

Ma i ragazzotti profughi che arrivano senza avere nulla se non la speranza magari di un lavoro e comunque di un futuro di vita lontano dal Paese nel quale sono nati ma dal quale sono dovuti fuggire? Quale futuro, relegati nel deserto del nulla senza nemmeno una bicicletta? Che faranno se in tardo pomeriggio in cucina viene a mancare il sale? Nessuna possibilità di arrivare alla palta o al supermercato a Rivergaro prima della chiusura.

Un Prefetto nato chissà dove, venuto da chissà dove e destinato presto o tardi ad andarsene chissà dove, ha una  trovata geniale, la risposta più intelligente che ci sia: portare in quel nulla un gruppetto d’un 20 ragazzi profughi in arrivo chissà da dove. E senza sentire nessuno, si muove, inizia “la procedura”, muove le carte.

Nessuna difficoltà col proprietario della vecchia osteria che magari ha anche concesso un buon prezzo per la disponibilità e l’affitto. Nessuna difficoltà ad individuare una società (italianissima) disponibile a ricevere i fondi pubblici per gestire la situazione. Nessuna opposizione dagli italiani interessati al business.

Ecco. Non ho guardato il fatto dal punto di vista  dei residenti. Io, prima ancora, mi sono messo nei panni di quei ragazzi destinati ad essere portati in quel nulla. L’incubo dell’ozio. Delle ore senza nulla da fare, la solitudine, una casa, un luogo che farebbe rimpiangere la “vita” presente in un carcere.

Per questo, prima di tutto a loro difesa, del loro diritto ad una dignitosa opportunità di vita, lo dico e lo ribadico, ho dato fuoco anch’io a quella casa

Cosa dico a tutti quei politicanti in giacca e cravatta, piccoli borghesi con la pancetta, che subito hanno condannato il gesto e assicurato massimo impegno nella ricerca dei colpevoli, maledetti razzisti xenofobi?

Cosa dico a quei politicanti che hanno tacciato il gesto di razzismo e, favorendo non certo i profughi ma di fatto gli interessi del proprietario, favorendo il Prefetto che si fa bello rispetto ai palazzi romani perchè in teoria risolve il problema, favorendo infine la Società di gestione alla quale arrivano finanziamenti pubblici. Cosa dico di fronte ad una situazione dove si confonde integrazione ed inevitabile alienazione ed emarginazione?

Rispondo con le parole di Rita Pavone: un popolo affamato prima o poi fa la rivoluzione e presto sarebbe arrivata la ribellione di quei ragazzi relegati in simile posto del tutto inadatto.

Oppure una citazione più adeguata. Le parole di Nelson Mandela: “quando a un uomo viene negato il diritto di vivere la vita in cui crede, questi non ha altra scelta che diventare un fuorilegge“.

Certo. Il fuoco è una scelta estrema e in sostanza sbagliata. Ma quando i rappresentanti delle Istituzioni e lo Stato si mostrano sordi alle osservazioni dei cittadini rappresentati, i deboli hanno altre forme di resistenza alle imposizioni?

Alla fine quella casa, confesso, materialmente non l’ho bruciata io. Il cerino l’ha acceso il Prefetto. E i profughi, che sperano in una sistemazione migliore (altra casa comunque affittata da italiani e altra o medesima società italiana di gestione dei fondi pubblici che arriveranno poichè integrazione sembra comunque far rima con business italianissimo), i profughi insieme agli abitanti di Caratta ringraziano.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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