“Omaggio agli eroi che salvarono l’Europa da Chernobyl: Alexei Ananenko, Valery Baranov e Boris Bezpalov”

Usando abiti con pannelli di piombo cuciti su di essi, gli uomini soprannominati “Bio-Robots” si sono precipitati sul tetto per spalare detriti nella falla.

Il 26 aprile 1986 all’una di notte nella centrale nucleare di Černobyl’ si verifica uno degli incidenti più catastrofici del ventesimo secolo. L’esplosione del reattore numero 4 provoca un violentissimo incendio e l’emissione di una nube tossica che prima travolge tutte le città più vicine e poi si sposta verso il cuore dell’Europa.

A Černobyl’ arrivano i liquidatori. Saranno 600.000 nel corso dei lunghissimi mesi che serviranno a mettere in sicurezza il sito. Scarsamente equipaggiati, privi di molti mezzi indispensabili, erano in parte inconsapevoli dei rischi che andavano correndo.

Tra di loro tecnici, ingegneri, vigili del fuoco, soldati dell’Armata Rossa e molti volontari, attratti da alcune promesse governative. Armati spesso solo delle proprie braccia si occuparono di rimuovere i detriti dell’esplosione, di interrare il materiale radioattivo, di costruire il sarcofago e soprattutto di spegnere il gigantesco incendio divampato nella centrale.

I primi ad arrivare furono i vigili del fuoco che privi delle protezioni necessarie furono falcidiati dalle radiazioni.

Purtroppo agendo con l’acqua sulle piscine progettate per raffreddare il reattore si creò il rischio di una nuova esplosione di vapore che avrebbe portato grandi quantità di materiale radioattivo nell’atmosfera e nelle acque sotterranee espandendo la contaminazione a tutto il continente europeo.

Dopo aver valutato questo rischio elevato, gli ingegneri responsabili della gestione del disastro hanno concluso che era necessario svuotare le piscine sotterranee. Purtroppo i sistemi elettronici che potevano garantire l’apertura controllata delle paratie erano danneggiati per cui l’unica soluzione era quella di inviare un gruppo di persone ad aprire le porte e, di conseguenza, evacuare l’acqua della piscina. Bisognava agire manualmente sulle valvole ma le valvole erano sott’acqua, nella piscina, vicino il fondo pieno di macerie altamente radioattive che la facevano brillare di color azzurro, proprio sotto il reattore che si fondeva emettendo un sinistro bagliore rosso giallastro.

Alexei Ananenko, Valery Baranov e Boris Bezpalov, sei giorni dopo il 26 aprile, dopo la prima esplosione e la prima nube radioattiva, furono i volontari che si offrirono per la missione, ben consapevoli del rischio e delle conseguenze derivanti dall’ingresso nella piscina radioattiva posta sotto al nocciolo del reattore. Erano importanti tecnologi dell’industria nucleare sovietica; il primo aveva partecipato alla costruzione della centrale di Chernobyl: cooperò al disegno delle saracinesche e sapeva dov’erano piazzate esattamente le valvole. Il secondo, Valeriy Bezpalov, era uno degli ingegneri che lavoravano nella centrale con un posto di responsabilità, era pure lui sposato, con una bambina e due bambini piccoli. I due ingegneri nucleari insieme a un giovane operaio della centrale Boris Baranov si offrirono volontari in modo eroico coscientemente, deliberatamente e piace ricordare i tre mentre celebrano la loro vittoria ridendo e abbracciandosi ai piedi del mostro, sul bordo della piscina. 

Si immersero per aprire le valvole manuali dei circuiti facendo defluire milioni di litri d’acqua mentre le radiazioni li uccidevano. Morirono poco dopo aver salvato il mondo da un possibile nuovo disastro.

Quasi nessuno conosce il loro nome così come quello degli altri che in quei giorni terribili ebbero comportamenti eroici oppure semplicemente non si tirarono indietro, mentre buona parte dell’establishment sovietico di Černobyl’ fuggiva verso zone sicure. Salvarono il salvabile, misero in sicurezza la centrale. Morirono a migliaia. L’URSS gli dedicò una medaglia e qualche monumento. Gli stati nati dalla sua dissoluzione disattesero in buona parte le promesse fatte ai liquidatori, dimenticandosi di questi eroi e del loro coraggio.

I poveri vigili del fuoco che avevano combattuto per la prima volta le fiamme nella notte dell’esplosione stavano morendo di sindrome della radiazione uno per uno. Erano stati trasportati in aereo in un ospedale specializzato in radiazioni a Mosca, chiamato Ospedale n. 6

“Gli eroi che salvarono l’Europa da Chernobyl”, un articolo di Antonio Schivardi

Le macchine non potevano farlo. Qualcuno doveva camminare fino al reattore scoppiato e ardente lungo un grigio terreno pieno di detriti dove la radioattività era così intensa da far sentire un sapore metallico in bocca, confusione in testa e pizzicorio sulla pelle, mentre le mani si abbronzavano in pochi secondi. Poi doveva immergersi nell’acqua oleosa e di azzurro brillante, col mostro radioattivo sulla testa per aprire le valvole a mano: un’operazione difficile e pericolosa in circostanze normali.

Era un viaggio di sola andata.

Sembra che la decisione su chi dovesse andare fu presa in modo semplice, con quella vecchia frase che lungo la storia dell’umanità è sempre bastata agli eroi: “Vado io!”. I primi due a offrirsi volontari furono Alexei Ananenko e Valeriy Bezpalov. Un giovane operaio della centrale di nome Boris Baranov allora si alzò e disse: “Verrò io con voi”.
Sotto gli occhi umidi di chi era rimasto indietro, i tre compagni percorsero i 1.200 metri fino al livello -0,5, chiacchierando normalmente fra loro dicono.

Sotto quel cielo grigio e i resti fumiganti di un reattore nucleare, gli eroi Alexei Ananenko e Valeriy Bezpalov s’immersero nella piscina del livello -0,5 con una tale radioattività che si poteva sentire, mentre il compagno Boris Baranov gli piazzava la lampada subacquea, che dopo poco si ruppe. Dall’esterno non li vide più nessuno. Ma le saracinesche si aprirono e un milione di metri cubi di acqua radioattiva fluiva verso l’invaso sicuro preparato appositamente. Erano riusciti. Qualcuno mormorò che gli eroi Ananenko, Bezpalov e Baranov avevano salvato l’Europa. E’ difficile stabilire fino a che punto avesse avuto ragione.

Questa è la storia di Alexei Ananenko, Valeriy Bezpalov e Boris Baranov, i tre supereroi di Chernobyl, di cui si dice che salvarono l’Europa o la vita di almeno un milione di persone nei dintorni in quel freddo giorno di aprile. Andarono a morire coscientemente, deliberatamente, per responsabilità e umanità e senso dell’onore, perché gli altri potessero vivere.

il reattore numero quattro della centrale di Cernobyl, ore dopo l’esplosione.

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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