Così, passeggiando dal quartiere Tortona lungo la via dei muri con rappresentata la Valentina di Guido Crepax (clicca qui), superato l’ultimo passaggio a livello della città e il sottopasso del ponte ferroviario, dopo l’ultima curva a sinistra della strada eccoci sull’Alzaia del Naviglio Grande. Innanzitutto l’antica chiesa di San Cristoforo.
Collocata sul percorso che conduceva a Milano, in un punto di passaggio obbligato nella rete dei vari corsi d’acqua del Lambro, si dice sia costruita sul sito di un precedente tempio pagano. In realtà si compone di due chiesa un tempo separate da una parete le cui origini per quanto alla prima si perdono nella notte dei tempi mentre la seconda risale al XV secolo. Quest’ultima fu eretta per volere di Gian Galeazzo Visconti che accolse i voti popolari per la costruzione di una nuova cappella dedicata al santo protettore degli infermi e degli appestati. Il voto esaudiva la fine di una grave pestilenza che, dopo aver mietuto 20.000 vittime in Milano nel 1399, era cessata di colpo — si credeva — per intercessione di San Cristoforo. La visita è dunque d’obbligo, nel tempo di pandemia che stiamo vivendo con tanto di annessa preghiera: “San Cristoforo, pensaci ancora tu“.
Letteralmente da mozzafiato l’abside con gli affreschi della chiesa primitiva, in particolare del Padre Eterno circondato da angioletti e ai lati i simboli degli evangelisti ma ancora merita la citazione la pregevole statua lignea del XIV secolo rappresentante San Cristoforo e il Bambino Gesù e concludendo meritano la citazione le splendide vetrate. E qui si conclude la parte “acqua santa“. A proposito, l’avete notato? Da due anni nelle chiese niente più acqua, solo amuchina. La pandemia non ha pietà alcuna delle nostre tradizioni. Comunque ecco l’ora del profano.
Ma non solo culto e preghiera, dunque. In realtà questa non è propriamente zona da movida tuttavia a poca distanza troviamo il circolo canottieri dove alla sera si balla sotto le stelle, qualcuno di sicuro propone una grigliata con garantite sbronza facile e chiacchiere che scorrono libere. Insomma, bandita la noia. Peraltro un inciso: poco più in là ci si ritrova tra le case popolari del Giambellino, il quartiere di Giorgio Gaber e del suo suo Gino Cerutti (“ma lo chiamavan drago, gli amici al bar del Giambellino, dicevan che era un mago“), protagonista della Ballata del Cerutti, e di quella Milano che era regno della piccola malavita.
A titolo d’esperienza personale non posso vantare un profondo e intenso vissuto qui sui Navigli. Una passeggiata, nella notte dei miei tempi, mano nella mano con quella ragazza dai baci sapor di vaniglia, i capelli al vento e il pugno chiuso perché “ora e sempre Resistenza“, “lotta dura e senza paura“,”operai, studenti uniti nella lotta“. Una passeggiata dalla quale scaturì una poesia che oggi non ritrovo più ma resta sempre nella mente e nel cuore. Poi, molti anni dopo, ancora qui da qualche parte, in un capannone industriale dismesso a visitare una mostra di dinosauri con la compagna diventata moglie e naturalmente i nostri figli allora bambini.
Ricordi. Ma oggi come allora, l’atmosfera, quella rimane, è impareggiabile, basta ammirare il ponte che unisce le due rive. Gente che arriva, attraversa, un’anziana signora con la sporta, un runner accaldato, uno spigoloso ciclista che sale con la bicicletta, una ragazza che rincorre un amico intravisto sull’altra sponda. Un tram che sferragliando e suonando credo una campanella passa e sembra salutare, “signori, in vettura“. Poesia. La vita, la vita di questa Milano. Zona Navigli.