“La propaganda d’odio”, articolo di Giuseppe Scalarini pubblicato l’1 gennaio 1922 sull’Asino

Testo e immagine da www.scalarini.it

Cinque anni fa non c’era un ragazzo più buono di lui. La vista del sangue lo faceva  inorridire. Una volta un bambino, che s’era punto con una spina, gli mostrò il ditino insanguinato, egli diventò bianco come un panno lavato. Un’altra volta, avendogli il gatto ucciso un passerotto che aveva avvezzato, fu lì lì per piangere un giorno trovò dei ragazzi che tormentavano un rospo; preso da sdegno li cacciò via, poi nascose la povera bestia in un cespuglio per sottrarla ai suoi martirizzatori. Lo trovarono una notte nella stalla, chino su un cavallo che stava per morire, mentre lo accarezzava, lo abbracciava, gli diceva le più amorevoli parole, come se parlasse ad un amico. Non commise mai il più piccolo atto di violenza. Quando in casa tiravano il collo a un pollo voltava la testa da un’altra parte. Non toccava mai un’arma, diceva che gli facevano ribrezzo. Una volta. Avendo trovato in un cassetto, una rivoltella, cacciò un urlo di terrore, come se avesse visto un serpe. Amava i suoi fiori, le sue piante, le sue bestie, la sua terra. Ah! come l’amava la sua terra! Come la coltivava con cura, come la difendeva dai nemici, com’era contento quando il sole la inondava di luce, come trepidava quando il cielo si oscurava e da lontano rumoreggiava il tuono!
Un brutto giorno gli si presentarono il padrone con una bandiera, il prete, il maresciallo dei carabinieri, ed un giovanotto con un fascio di giornali.
– Pianta lì tutto – gli dissero e vieni con noi.
Che colpo fu per quel ragazzo!
Lo trascinarono in una caserma, lo vestirono da soldato, e poi gli misero addosso un fucile, una spada, un pugnale, una rivoltella, una baionetta, un pacco di cartucce, una bomba e un vaso di latta pieno di un liquido infiammabile.
– Ecco, – gli dissero – uccidi!
– Ma io non ho mai ucciso! – gridava il ragazzo, piangendo.
– Te lo insegneremo noi.
Gli insegnarono ad imbracciare il fucile, ad impugnare la rivoltella, a prendere la mira nel cuore ed a far fuoco, gli insegnarono a maneggiare la spada ed a spaccare il cranio con un fendente; gli insegnarono a cacciare la baionetta nel ventre; gli insegnarono a vibrare un colpo di pugnale; gli insegnarono a lanciare una bomba; gli insegnarono ad incendiare, ad assalire, a saccheggiare, a devastare, a distruggere ogni cosa.
Il ragazzo piangeva, pregava, scongiurava che non aveva il coraggio di far queste cose; ma il padrone gli sventolava dinnanzi agli occhi la bandiera e gli parlava della patria, il prete gli mostrava
il crocefisso e gli parlava di Dio, il carabiniere gli spianava la rivoltella, e gli parlava della legge, il giornalista gli mostrava i fogli e gli parlava della civiltà, della democrazia,dell’onore,della giutizia, della gloria. In nome di tutte queste belle cose bisognava uccidere.
Dopo cinque anni di insegnamento, quest’uomo che impallidiva per una goccia di sangue, che piangeva per la morte di un uccellino, ora scaglia le bombe e scarica i fucili e le rivoltelle contro
la gente; quest’uomo che soffriva nel vedere il ramo di un albero spezzato, che passando nei campi sembrava che temesse di far del male all’erba che schiacciava, ora, con gli occhi iniettati di sangue e la bava alla bocca, urlando come un selvaggio, leva minaccioso il suo braccio armato che tante volte aveva tremato nel cogliere una rosa.
Chi lo ha trasformato così? la propaganda di odio della guerra.
Scalarini

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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