“La Mafia siciliana: organizzazione criminale o associazione patriottica?”, lettera di Giovanni Bongiorni al Direttore del quotidiano Libertà

Angela Maraventano, pasionaria leghista di Lampedusa. Nelle sue dichiarazioni la Mafia sembra un’associazione patriottica “sensibile e coraggiosa”, in grado di assumersi la difesa del “proprio territorio”

Gentile direttore (di Libertà, quotidiano di Piacenza, ndr), le affermazioni sulla mafia dell’ex senatrice della Lega Angela Maraventano, in occasione della recente manifestazione di Catania a sostegno di Salvini, non sono da sottovalutare. Posto che è da comprendere il disagio e lo stress vissuti dai lampedusani per essere la loro isola diventata il punto di approdo principale dell’emigrazione africana in atto ormai da decenni, è il caso di far luce su cosa sia veramente la Mafia siciliana, l’organizzazione criminale per antonomasia. Nelle frasi pronunciate da Maraventano sembra sia stata, ora non più, un’associazione patriottica “sensibile e coraggiosa”, in grado di assumersi la difesa del “proprio territorio”. Il pensiero della politica diventa qui meno oscuro. Lei intende proprio la difesa militare. La mafia è prima di tutto una forza armata. Si ascoltano spesso discussioni in materia dove brillano, per la loro assenza nel discorso, le armi: pugnali, pistole, kalashnikov, bombe, esplosivi. I mafiosi un mestiere ce l’hanno. Sono i discendenti, incredibile dictu, dei mercenari greci descritti nell'”Anabasi” (IV secolo a. C.) di Senofonte, da lui definiti validi solo per “le armi e il coraggio” (di farne uso). Soldati. Dell’antiesercito dell’Antistato. Marco Bellocchio lo sottolinea bene nell’ultima scena de “Il traditore”: Buscetta con grande rapidità raggiunge un avversario e lo ammazza a revolverate.Sono i discendenti dei mercenari cinquecenteschi licenziati dalle compagnie di ventura e rimasti senza lavoro e non intenzionati a far altro che la guerra. Niccolò Machiavelli (“Dell’arte della guerra”, 1520) li ritiene capaci di portare qualsiasi Stato alla rovina, perché votati solo a far soldi, rubare, violentare, uccidere. Essi considerano – osserva- i costumi della vita civile effeminati e li rifiutano. La stessa etica anima don Mariano, in “Il giorno della civetta” (1961) di Leonardo Sciascia. Quelli disposti a lavorare ma non a far uso delle armi, come lui, sono “mezz’uomini”, “ominicchi”, pigliainculo” e “quaquaraquà”. Un contributo importante per intendere cosa sia il fenomeno mafioso e individuare i mezzi per combatterlo è venuto da Carmelo Sciascia, già concittadino del più famoso omonimo racalmutese, il 2 ottobre in biblioteca, per iniziativa della “Dante” piacentina, diretta da Roberto Laurenzano. Il relatore, con “Scrittura come speranza”, ha mostrato in quale modo Leonardo Sciascia, assumendo la posizione di coscienza critica della società, abbia rivelato le “imprese” di quella parte di essa detta a sproposito “onorata”. Cosa non fatta, ha ricordato, dal premio Nobel 1934 Luigi Pirandello, anche lui agrigentino, pur essendo documentata l’esistenza della mafia in Sicilia da inizio Ottocento. Tale rivelazione ha portato molti maestri del cinema italiano a rappresentare con i loro film di denuncia le opere dello scrittore. Il quale, per spiegare l’irriducibilita’ del fenomeno, appunto, ha indicato l’ importanza dell’ambiente. Prima vi si abita e poi vi si nasce. Nonché dell’infanzia. Dove si passano i primi dieci anni di vita? In quale famiglia? Con quali parenti e con quali frequentazioni? Quale etica vi è condivisa? Sciascia, a rischio della vita, si è opposto alla distruzione dello Stato. Come ha fatto il Parlamento con le leggi sui pentiti, sul 41 bis, sulla confisca dei beni. Come ha fatto la magistratura, coi processi grandi e piccoli. Come hanno fatto e fanno tanti giornalisti e scrittori, alla maniera di Roberto Saviano, che vive scortato. Come hanno fatto e fanno tanti sacerdoti, sull’esempio di don Giuseppe Diana e don Giuseppe Puglisi, assassinati. Di don Luigi Ciotti, anche lui condannato dall’Antistato a vivere sotto scorta. Cordiali saluti.

Piacenza, 09.10.2020 Giovanni Bongiorni

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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