Il romanzo è il racconto degli ultimi giorni di vita di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1518 – 1594), attraverso le parole che l’artista stesso rivolge a Dio durante gli ultimi quindici giorni della sua malattia. Vicino a lui, nel buio della camera da letto dove giace, si trovano la moglie Faustina e i figli ancora in vita: Domenico, Marco, Perina e Ottavia.La febbre, che lo divora, lo porta a vagare con la memoria nei meandri del suo passato e a ricordare gli episodi che hanno segnato la sua vita: dall’infanzia nella bottega di tintore del padre alla decisione di prendere la strada della pittura, dall’amore con una cortigiana alla nascita della sua primogenita ed erede artistica Marietta, al matrimonio, ai figli. Il presente si confonde con il tempo del ricordo, con frequenti flashback e anticipazioni che vengono lasciate in sospeso, per essere riprese solo successivamente. Alcuni passaggi sicuramente di grande interesse come le vicissitudini della Venezia nei giorni della peste, con gli abitanti (quelli che sopravvivono) costretti ad abbandonare la città alla ricerca (spesso vana) della salvezza. Analogo interesse per il rapporto tra la figlia, Marietta come si diceva, donna esuberante e anticonformista e il padre burbero e stravagante, vero centro della narrazione, nella quale emerge tutta l’umanità del pittore, che essendo di umili origini osa narrare di sé, dei propri successi e delle invidie che lo riguardarono all’inizio della carriera. Ancora da citare la perfetta descrizione della città, dei suoi profumi, dei suoi odori, le sue calli, le case, i ponti, i canali percorsi in gondola con il lettore che inevitabilmente si ritrova a ripercorrere con la memoria, ad occhi chiusi, i giorni passati in laguna. A parte questo, tuttavia, l’opera sicuramente imponente complessivamente risulta eccessiva, a tratti farraginosa con un appesantimento della lettura che determina soddisfazione alla chiusura dell’ultima pagina e della fine del romanzo.