“Hey, ti ricordi di noi?”, intervento di Giuseppe Mori, infermiere

Da quando faccio l’infermiere, una delle affermazioni che sento più spesso è: “oh mamma… ma come fate? Come a fate a sopportare tutte quelle cose? Ah deve essere proprio una missione, eh certo! Non può che essere così!”. Anche una neo studentessa del corso di laurea mi ha chiesto. “ma secondo lei come si riesce a sopportare la vista del sangue… le urine… i vomiti…”.

Per chi non è del mestiere che è fuori da questo mondo, pensa all’aspetto “splatter” e pensa che la parte peggiore sia appunto quello che sento definire come: lo schifo!
A me viene da sorridere e come ho detto alla “neo studentessa”, il problema non è la parte “splatter”, certo a nessuno fa piacere avere a che fare con odori sgradevoli o escreti, secreti, oppure vedere come siamo fatti sotto la pelle, questo no, ma a questo prima o poi ci fai il callo, ti ci abitui ed è quasi divertente vedere, ad una cena tra amici che sono infermieri o medici, il momento (inevitabile) che ci si trova a parlare di diarree o di vomiti o di “quella volta che con l’ambulanza…” o di “quel paziente che…” e magari quei due o tre amici che non fanno parte della nostra tribù che ti guardano con uno sguardo allucinato e ti chiedono se casomai non si possa cambiare argomento.

Già a questo ti abitui e anche presto.

Quello che è difficile digerire è quello che io chiamo il “senso del dramma”, la drammaticità delle malattie che ti sconvolgono la vita o peggio te la chiudono.
Sapere, in anticipo, “quale sarà il finale del film” e che non ci sarà il lieto fine, mi fa venire in mente la canzone dei Negrita “…troppo spesso mi dimentico che lui è un matto autentico e qui, qui non è Hollywood”.
Sono le storie che accompagnano le persone che incontri, la loro storia, il loro essere, il loro carattere, i loro volti…

Un malato di cuore, olio su tela di Irene Allori

Come Luca…

La bronco aspirazione è una delle pratiche meno simpatiche (diciamo così) che come professionisti dobbiamo eseguire ma anche a quella prima o poi diventa facile sia la tecnica che “lo schifo” fino a che un giorno il paziente è Luca.
Luca è ricoverato in neurochirurgia perché, ha un tumore cerebrale, anzi un tumore cerebellare ovvero appoggiato proprio lì sul cervelletto ed è in una posizione che fa sì che sia inoperabile. Ora siamo in quella fase che riesce ancora a respirare, ma ha bisogno di un aiuto: una tracheotomia che ogni tanto va pulita.
Allora suona il campanello e quando si accende la luce che indica la sua camera, in guardiola cala il silenzio e ci si guarda negli occhi fino a che non esce un “dai Giuseppe vacci tu… per piacere… vacci tu che sei più forte…”.
Allora vai e lui è li nel suo letto ti guarda fisso negli occhi, mentre con un gesto lento ti indica con l’indice la tracheo, allora in silenzio, prendi il sondino monouso fai quello che devi, con professionalità e asetticità, mentre lui non ti stacca gli occhi di dosso neanche un attimo, poi ti fa un cenno, è a posto, rimetti in ordine, spegni tutto e te ne vai. Così in silenzio, perché tanto lui non può parlare e poi non hai niente da dire, perché cosa si può dire ad un bambino di otto anni che sta morendo? Già perché Luca ha otto anni e il primo sintomo è stato la perdita di equilibrio mentre giocava a calcio. Ed io ho sempre ringraziato dentro di me, all’infinito, i genitori quando hanno scelto di accompagnare gli ultimi giorni di Luca a casa, ed averci così risparmiato il dover vedere morire un bimbo di otto anni.
Ecco cosa è difficile da imparare a sopportare, perché anche se provi a difenderti a costruirti una corazza, una difesa, fatta di cinismo, professionalità, a volte di distrazione o di luoghi comuni, tranquilli il paziente che le tue difese te le fa crollare c’è sempre. Una falla seppur piccola, piccola lui la trova sempre, è matematico.

Padre con figlio malato, olio su tela di Demetrius Donadoni

Come Maria…

Una delle prime difese che ci si costruisce è: “beh era anziano, aveva i suoi belli anni, in fin dei conti la sua vita l’ha vissuta”. Corretto, non fa una piega finché un giorno mentre tenti di consolare la Maria che ha perso il marito 85enne, lei con gli occhi rossi ti dice “è vero aveva i suoi anni ed era malato, ma era il mio amore, Giuseppe, lui era il mio primo e unico amore”. E il tuo bel castello viene giù che è un piacere.
Ecco qual è la parte difficile del nostro lavoro, quando prestavo servizio all’elisoccorso la difesa era l’alto tecnicismo, l’urgenza, il salvare una vita, e poi soprattutto non li conosci! Non sai chi sono, non puoi avere tanta empatia, i soliti amici mi dicevano: “chissà cosa ti capiterà di vedere… Che coraggio…” ed io tra me e me pensavo qui non ci sono Luca o la Maria. Poi capita in una bella giornata d’estate, mattina presto, fresca soleggiata, la collina verde.
Ma non sarà mica…
Incidente stradale, un auto è finita contro un albero, per l’autista niente da fare, ok uno come tanti, un colpo di sonno se non fosse che… i cosiddetti curiosi parlano e scopri che la sua abitazione dista da lì non più di 200/250 metri e che ha 21 anni… ed è sposato… “ma non sarà mica… no dai un anno fa è morto suo fratello per un incidente…” e siccome è ad uno sputo di strada da casa arriva la moglie di 19 anni che ha capito tutto ma siccome è talmente grande il dolore che continua “perché lo tengono sotto al lenzuolo? Ma così fa fatica a respirare, e poi perché non fanno niente? E lo lasciano lì così?” e te l’unico pensiero che ti viene in mente è “e dai muoviti a fare quel c… o di certificato che ce ne andiamo da qui” e lei da oggi sarà vedova e chissà quanti progetti, speranze, sogni… Il dramma il senso del dramma anche lì.

Incidente stradale, olio su tela di Elio Borgonovo (opera giovanile)

Questo è la parte più difficile da imparare, è questo che se non impari a gestire ti fa cambiare mestiere, perché stanno e staranno sempre con te. L’unica difesa è non cercare di difenderti, di farli entrare (tanto loro la falla la trovano sempre) di coccolarteli, di farli diventare come dei tuoi amici o dei parenti lontani. Così diventano più leggeri e riesci a portarli con te.
Poi ogni tanto ti vengono a trovare e tu, te ne accorgi perché anche se è estate e c’è un bel sole e tutto va per il verso giusto, hai una strana e dolce malinconia, un piccolo dolore, non pesante ma persistente e allora ti fermi un attimo e loro sono lì, ti battono delicatamente su una spalla e ti dicono “hei ti ricordi di noi? Noi siamo qui tutto bene?”.

Il fantasma e il fiore, olio su tela di Vittorio Matteo Corcos

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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