“Gli anni 70 (6^ parte): la strage fascista di Peteano, il terrore alle Olimpiadi”, a cura di Alberto Zanini

La sera del 31 maggio 1972, da un bar di Monfalcone partì una telefonata per la caserma di Peteano di Sagrado in provincia di Gorizia. Venne registrata una voce che in dialetto diceva: “Senta, vorrei dirle che xè una machina che la gà due busi sul parabreza. La xè una cinquecento bianca, visin la ferovia, sula strada per Savogna.” Tre gazzelle giunsero sul posto. Il tenente Angelo Tagliari, dopo aver riscontrato i due buchi sul parabrezza, azionò la leva del bagagliaio che fece esplodere un ordigno. Il brigadiere Antonio Ferraro e i carabinieri Donato Poveruomo e Franco Dongiovanni morirono dilaniati, mentre il brigadiere Giuseppe Zazzaro e lo stesso Tagliari rimasero gravemente feriti. I carabinieri di Gorizia fecero partire immediatamente l’indagine, ma il generale Palumbo, giunto da Milano, tolse loro l’incarico per affidarlo al colonnello Dino Mingarelli. Palumbo era lo stesso depistatore dell’indagine per la morte di Feltrinelli. Dino Mingarelli, nel 1964 ricoprì un ruolo di grande rilievo nel tentativo di colpo di Stato, ideato dal capo dell’Arma dei Carabinieri il generale Giovanni De Lorenzo, passato alla storia come “Piano Solo.” Mingarelli, rifiutando la collaborazione della Questura, indirizzò l’indagine verso la pista della sinistra extraparlamentare, cercando di colpire prima Lotta Continua e in un secondo tempo la delinquenza comune, sempre fallendo gli obiettivi. Mingarelli si avvalse dell’aiuto di Marco Morin, ordinovista convinto e perito balistico di dubbia professionalità (lauree mai conseguite), che sostituì l’esplosivo con un altro di provenienza cecoslovacca per occultare e depistare l’indagine. Nel frattempo i veri colpevoli ripararono tranquillamente in Spagna, dove il regime Franco regalava asilo per tutti i fascisti in fuga. Nel 1984 Vincenzo Vinciguerra (in galera dove scontava una pena per il dirottamento di un Fokker, partito dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari in Friuli il 6 ottobre del 1972) ammetterà di essere stato l’autore della strage di Peteano, assieme a Carlo Cicuttini che venne arrestato solo nel 1998 dopo ventisei anni di latitanza. La confessione di Vinciguerra fu motivata non tanto come pentimento, ma come una netta dissociazione nei confronti del rapporto che l’estrema destra aveva con alcuni apparati dello Stato. Vinciguerra e Cicuttini furono condannati all’ergastolo. Nel febbraio del 2010 Cicuttini morì per un male incurabile. Per la prima volta in Italia vennero anche condannati alti ufficiali. Dino Mingarelli e il colonnello Antonio Chirico a 10 anni e 6 mesi per favoreggiamento, falso, soppressione di atti e peculato. Quattro anni di condanna ebbe il colonnello Michele Santoro per falso e favoreggiamento. Il Presidente della Commissione Parlamentare sulla P2, Tina Anselmi, interrogando il Generale Palumbo, infastidita dalla continua reticenza del militare, censurerà aspramente, nella relazione conclusiva, il comportamento di Palumbo. Giorgio Almirante, segretario dell’Msi, fece pervenire, tramite l’avvocato Eno Pascoli, a Cicuttini , mentre si trovava in Spagna, trentacinquemila dollari per farsi operare alla corde vocali in modo che non potesse essere identificato con l’autore della telefonata fatta la sera dell’attentato di Peteano. Sia Pascoli che Almirante vennero incriminati per favoreggiamento, ma mentre l’avvocato fu condannato, Almirante, protetto dall’immunità parlamentare, riuscì ad avere, tempo dopo, un’amnistia ad personam in quanto ultrasettantenne. Nella strage di Peteano furono coinvolti i vertici dei Carabinieri, l’Msi, la P2, Gladio i servizi segreti e la Cia.

Una foto in bianconero, fatta con il teleobiettivo, congela l’immagine di un uomo con il volto coperto da un passamontagna sul balcone di una palazzina. Si capisce subito che è una foto drammatica che ci rimanda con la memoria alle Olimpiadi di Monaco del 1972.
Il 15 luglio del 1972 tre palestinesi si trovarono a Roma per organizzare un atto terroristico a Monaco durante le Olimpiadi. I tre erano: Abu Dawud e Salah Khalaf (dirigenti di Al Fatah) e Abu Muhammad appartenente all’organizzazione di Settembre Nero. L’atto avrebbe dovuto richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla causa palestinese. Si decise di formare un commando di 8 persone, che furono addestrate in Libia. Abu Dawud fece la prima ricognizione nel villaggio Olimpico, e vi ritornò qualche giorno dopo con Yusuf Nazzal (componente del commando) che faceva il cuoco nel villaggio medesimo. Gli appartamenti erano tutti uguali e fu facile per loro studiare ed organizzare l’operazione nei minimi dettagli. La sera precedente l’attacco, i componenti del commando, vennero messi a conoscenza del piano che prevedeva il rapimento degli atleti israeliani. Alle 4 del mattino del 5 settembre, gli otto terroristi scavalcarono la recinzione ed entrarono nella palazzina e, dopo aver sfondato la porta, fecero irruzione nell’appartamento degli atleti. I primi tentativi di resistenza furono vanificati uccidendo subito Moshe Weinberg (allenatore di lotta greco-romana) e Yossef Romano (sollevamento pesi). Furono fatti prigionieri otto atleti, mentre uno (Gad Tsobari) riesce a scappare dalla finestra. Ormai l’allarme era stato diffuso e la polizia attraverso un comunicato scritto lanciato dal balcone venne a conoscenza delle richieste dei terroristi, che consistevano nella liberazione di 234 detenuti in Israele, e di due famosi terroristi tedeschi: Andreas Baader e Ulrike Meinhof. Il Cancelliere tedesco Willy Brandt contattò il primo ministro israeliano Golda Meyer, che negò recisamente la possibilità di qualsiasi trattativa, anzi si offrì per l’invio di un corpo speciale israeliano, ma il Cancelliere rifiutò l’invito preferendo la trattativa ad un attacco nel villaggio Olimpico. Nel frattempo i terroristi continuarono a spostare sistematicamente l’orario dell’ultimatum per prolungare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’attentato. Malgrado la notizia dell’attacco fosse diventata di dominio pubblico, il programma olimpico non venne arrestato ed i giochi proseguirono, anche con la disapprovazione e lo sconcerto di qualcuno. I palestinesi, dopo un tentativo miseramente fallito della polizia tedesca di entrare nella palazzina, chiesero un aereo con destinazione Il Cairo. Il governo egiziano negò la possibilità di accogliere il commando e allora il governo tedesco decise un blitz per liberare gli ostaggi. Vennero messi a disposizione dei terroristi due elicotteri per poter raggiunger la base aerea di Furstenfeldbruck dove vi giunsero alle 22.30. Due terroristi andarono a controllare l’aereo e vedendolo vuoto intuirono la trappola tesa dai tedeschi, ritornarono velocemente verso gli elicotteri. La polizia dopo aver illuminato il piazzale fece fuoco sul commando. Dopo un’ora di fuoco incrociato, i terroristi capirono di non aver scampo e uccisero tutti gli ostaggi. Alla fine rimasero colpiti a morte anche cinque terroristi e un poliziotto tedesco. Tre palestinesi vennero arrestati, ma rimessi in libertà, quando in seguito ad un dirottamento di un aereo della Lufthansa furono scambiati con l’equipaggio tedesco dell’aereo. Cecchini scarsamente attrezzati e l’impreparazione del personale in operazione complesse determinarono il fallimento del blitz. Sulle Olimpiadi scese un velo di lutto e di dolore, ma i giochi dopo un giorno di sospensione proseguirono malgrado l’indignazione di molti. Israele volle vendicarsi e il Mossad mise in campo tutte le sue potenzialità. Il nome in codice “Comitato X” fu l’operazione che ebbe il compito di cercare ed eliminare tutti i responsabili della strage di Monaco. Mandanti, organizzatori ed esecutori materiali, verranno stanati ed uccisi. L’unico a salvarsi fu Abu Dawud.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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