“Facciamo Arte, no guerre”, Claudio Arzani, poeta, domenica scorsa a Mortizza

Non è facile fare poesia dal palco d’una festa popolare. Con gli avventori che stanno a mangiare, a conversare, chi di politica, chi sta ad osservare dove s’intrufola quel cane lupo in libertà, chi aspetta la musica folk d’autore, chi racconta del nipotino nascituro e chi espone la bambinella che sorride, a tutto pensano men che ascoltare poesia. Di suo un fatto di nicchia, la poesia, di massima riservata a pochi, tutto ma non certo popolare. Almeno quei versi che ci  propinano che ci raccontano a scuola, spesso di difficile comprensione, che studiamo a memoria per poi odiarli per il resto della vita. La poesia non è popolare, o quantomeno non certo lo é nell’ambito d’una festa popolare.

 

Del resto, ho sentito affermare, la poesia non va capita, non va nemmeno ascoltata, la poesia va vissuta. Cosa voglia dire, non saprei che dire. Sta di fatto che dall’alto delle cattedre i professori sbavano e vanno in visibilio ma tra i banchi c’è chi trattiene a stento lo sbadiglio. Ricordo Francesco Bonomini. Venne ad ascoltarmi per dovere d’amicizia e alla fine disse “di solito non mi piace la poesia, non la capisco. La tua la capisco” e da quel giorno spesso è venuto alle mie rap-presentazioni unendo ai versi le sue musiche, le sue ballate. La poesia è un tuttuno con la musica e i poeti erano detti, nei tempi andati, cantori. Poi vennero i trovatori, gli chansonnier, i girovaghi che passavano di strada in strada, di cascina in castello a raccontare con i loro versi per la gioia del popolo contadino le gesta epiche dei cavalieri della tavola rotonda. Ma da tempo tutto questo non è più e le liriche amate dai professori e dagli intellettuali sono ignorate, non capite, non lette (se non a scuola per costrizione), men che meno acquistate dal popolo e ben che vada giacciono negli scaffali delle librerie ignorate evitate dai più.

Non è facile esibirsi, salire i tre scalini che portano sul palco, affrontare una platea che sai aprioristicamente poco (ed il poco é un generoso eufemismo) coinvolta. Ma forse ha aiutato il temporale improvviso. Alle 20, dopo una giornata di umidità e caldo afoso, una specie di nubifragio si è abbattuto su Piacenza e zone limitrofe, compresa la frazione di Mortizza dove era in corso la 2^ festa provinciale di Sinistra, Ecologia, Libertà. Immaginavo quindi il fuggi fuggi generale, le panche rovesciate, i tavoli con piatti e bicchieri sparpagliati, in pratica il deserto salvo i soliti organizzatori.

 

Niente di tutto questo, grazie al fatto che la Cooperativa che ha messo a disposizione lo spazio è ben attrezzata con un tendone che garantisce la cena al coperto. Peraltro dopo una ventina di minuti il nubifragio ha girato verso altri lidi e la festa è continuata, sia pur con non più d’una cinquantina di presenti. Forse anche questo ha aiutato, tutto sommato il numero ridotto ha favorito l’esibizione, l’impianto voce era all’altezza e Antonio Amodeo, che subito dopo avrebbe suonato con Erika Opizzi, si è offerto di sostenerci, d’accompagnare 3 delle 8 poesie selezionate, con improvvisazioni musicali.

Io, Dalila in veste di lettora, Roberto Bassi che ha virtualmente indossato la divisa di ufficiale SS per recitare in apertura con Dalila ‘E che venne alla donna del soldato?’ di Bertold Brecht. A seguire le mie poesie contro la guerra. Ad un certo punto la bandiera del fate l’amore, non la guerra. E in diversi hanno iniziato a seguire il no alla guerra, la verità che non ci insegnano a scuola: in guerra semplicemente si muore. Tantomeno esiste una ‘parte’ giusta, ogni esercito si è macchiato di nefandezze. I nazisti nei campi di sterminio, i russi invadendo la Polonia in accordo con Hitler e massacrando a Katyn 8000 ufficiali prigionieri, gli italiani per nulla brava gente per il gas utilizzato da Graziani, gli americani e i francesi con le marocchinate a Montecassino, i partigiani della divisione Garibaldi per l’esecuzione dei partigiani di Giustizia e Libertà al confine con la Yugoslavia.

 

Così in diversi hanno cominciato a garantire attenzione, cambiando posizione a sedere, volgendo lo sguardo al palco, ascoltando.

 

La guerra è guerra. Coinvolge non solo i soldati. Anzi: l’esercito che va allo scontro frontale rischia di non portare a casa nulla. Colpire i civili invece fa terrorismo, annichilisce l’avversario, colpisce le mamme, le nonne, i bambini, gli asili, le  scuole, gli ospedali. La guerra criminale. Ricordate le immagini dei bombardamenti sulle città dell’ex Yugoslavia, sulle città dell’Iraq? Non ce li fanno più vedere, in televisione. Per tacere dei bambini fatti a pezzi, delle case abbattute, delle chiese, delle moschee, delle donne, degli anziani. Così è nato e si sviluppa l’ISIS.

 

A questo punto un uomo, che certo aveva bevuto, si è alzato dal tavolo dove stava, “già i bambini muoiono di fame e invece questi fanno l’Expo!” e indignato se né andato.

 

Non è facile rap-presentare stando sul palco d’una festa popolare nello spazio messo a disposizione da un compagno d’altri tempi, il Presidente d’una vecchia cooperativa in una frazione quasi di zona golenale, vicino al  Grande Placido Fiume. Grazie al cielo niente zanzare ma queste non sono più zone operaie, zone proletarie. Forse non esistono più gli operai e men che meno le zone proletarie salvo qualche anziano ormai ‘reduce’ d’un’altra società, di una città, di fabbriche ormai chiuse, di un passato ormai andato. Ma questa è una fortuna. Anziché 200 persone abbiamo di fronte, giù dal palco, una quarantina di vecchi compagni, nostalgici o semplicemente coraggiosi che hanno saputo affrontare il rischio del ritorno della pioggia, il vociare di chi non ascolta, di chi mangia disinteressato via via va diminuendo e diversi ascoltano.

 

Non è facile rap-presentare, ci sono momenti difficili, anche un paio di poesie lette senza convinzione ma arriva la storia degli anni cinquanta, del mio papà che saluta a pugno chiuso, che in ferrovia distribuisce volantini del partito, che è solidale con i colleghi nuovi arrivati immigrati dal Sud, che non perde uno sciopero perché i lavoratori devono stare uniti altrimenti perdono sempre e alla fine l’omaggio alle donne di Mortizza vestite delle lunghe gonne ricamate di fiori. Meritano, incredibile, l’applauso e l’emozione della lettora, del cantore, dell’ufficiale SS sale alle stelle.

 

Le parole, a volte, in zona quasi golenale di solito regno di zanzare elicottero, sanno parlare al cuore della gente. E questa é poesia.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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