“Dalla Preistoria alla Pandemia. Dall’Infodemia alla Fobocrazia”, riflessioni di Carmelo Sciascia a margine del libro di Donatella Di Cesare

Ogni periodo storico è caratterizzato da un epiteto. Il periodo storico indica un certo lasso di tempo, più o meno lungo, che ha caratteristiche proprie e particolari da renderlo uniforme. Tutti conosciamo il lungo periodo della preistoria che va dal Paleolitico all’età del ferro. Il Paleolitico è caratterizzato dall’uso della pietra, come l’età del ferro è caratterizzata dall’uso dei metalli. Conosciamo le suddivisione della storia dall’antichità alla contemporaneità. Possiamo dire a grandi linee che il lasso di tempo costituente un determinato periodo storico si accorcia man mano ci si avvicina all’Età Contemporanea, cioè diminuisce il numero degli anni che caratterizza il periodo stesso proporzionalmente all’avvicinarsi ai giorni nostri. Basti pensare al tempo necessario intercorso per il passaggio dal Paleolitico al Mesolitico. Il Paleolitico inizia 2,5 milioni di anni fa (comparsa dei primi ominidi) termina 10 000 anni fa (uso dell’agricoltura).  O, il tempo intercorso per il passaggio dal Mesolitico al Neolitico. E, così di seguito, di millennio in millennio fino ad arrivare dalla preistoria alla storia.  Dalla storia antica al Medioevo, il calcolo degli anni subisce una drastica riduzione, per proseguire dal passaggio dal Medioevo all’età Moderna. Si arriva così all’epoca Moderna dove un determinato Periodo può essere sintetizzato da eventi di durata molto limitati cronologicamente, addirittura di solo qualche decennio, la Rivoluzione francese ad esempio, ha caratterizzato la rivoluzione borghese ed il liberalismo dall’Ottocento ai nostri giorni, è un evento che può essere riassunto in soli dieci anni dal 1789 al 1799. Un episodio di un solo decennio che ha cambiato, attraverso la forza delle idee, i secoli a venire. Dalla fine delle concezioni feudali si è passati ad una epoca moderna caratterizzata da attese messianiche, di rivoluzioni e cambiamenti che una mentalità positivista portava a credere nella fine dell’oppressione e della miseria. All’ottimismo della volontà spesso si è accompagnato l’ottimismo della ragione. Basti pensare alle teorizzazioni estreme del liberalismo capitaliste come alle ideologie marxiste.

Il nuovo millennio inizia con gli attentati alle torri gemelle dell’11 Settembre 2001. Un millennio, il nostro che iniziato con l’attentato in America è proseguito con una profonda crisi finanziaria nel 2008, per continuare con una pandemia, quella che stiamo vivendo, di cui non si vede la fine. Sono tutti eventi che hanno contribuito e contribuiscono a porci in difficoltà nel progettare qualsiasi idea di futuro. Ecco allora che per caratterizzare questo periodo (o questo millennio) basterebbe solo un termine, semplicemente complicato: Paura. La teorizzazione epocale, l’epiteto che caratterizza questo periodo, potrebbe essere allora fobocrazia.   Sì proprio fobocrazia: Il potere della paura, dal greco phòbos paura e kràtos potere.

Viviamo senza meta, senza porci un obiettivo in cui credere. La   mancanza di prospettiva è generale e totale. Investe individui, classi sociali, popoli. Senza un’idea di futuro viene meno il senso della storia. La storia come sviluppo della collettività viene a perdere significato. Il ripiegarsi su se stesso del corpo sociale cambia il senso della storia stessa, fino a mutare una storia collettiva in una semplice, e perciò complicata, storia individuale. Una storia individuale che finisce con l’esaurirsi in singoli episodi sporadici.  Tutto ciò è la logica conseguenza del venir meno di quel patto generazionale che ha caratterizzato il susseguirsi delle generazioni. È finito cioè quel legame che si trasmette non solo geneticamente ma soprattutto attraverso una serie di solidarietà culturali e sociali da padre in figlio. La società odierna non crea legami, ma separa gli individui, non raggruppa gli individui in classi sociali ma isola gli individui in monadi, dal significato filosofico di entità “senza finestre” impossibilitati quindi a comunicare tra loro. A proposito di Monadi, ricordate Leibniz: “Quello in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili” e lo sberleffo di Voltaire con il suo Candido? Il fallimento della politica è sotto gli occhi di tutti. Una categoria, la politica, che ha abdicato da tempo nei riguardi dell’economia e della finanza. La politica conserva un’autonomia di intervento quanto mai limitata e subalterna alle attività finanziarie ed alla scienza. La scienza che essendo un prodotto relativo e connesso al periodo storico, è sempre parziale e la sua verità sempre provvisoria.

Così di talkshow in talkshow siamo finiti ingabbiati in una ridda di ipotesi sulla pandemia virale spesso in contrasto tra loro. Così il Treccani definisce l’infodemia, cioè la comunicazione riguardante il rincorrersi spasmodico delle informazioni in questo momento: “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. In altri termini, l’infodemia risulta essere “quell’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”, questa la definizione ufficiale data dall’OMS. L’infodemia diventa così l’humus culturale cui si sviluppa quel senso di insicurezza e di paura che caratterizza la società odierna. Cerchiamo una qualche verità ed in questa affannosa ricerca “ammazziamo il tempo”, un tempo che finisce, anziché darci risposte certe, rivoltarsi contro di noi, finendo per ucciderci. Base della democrazia è la partecipazione. Oggi invece si chiede solo protezione. Da una cittadinanza attiva siamo passati ad una cittadinanza passiva. Come per la terza età. Siamo all’improvviso diventati tutti vecchi, isolati e terrorizzati. Si fa di tutto per allungare la vita per poi non sapere cosa fare della vecchiaia. Ci veniamo a trovare così tutti sospesi, segregati in uno spazio vuoto, come vecchi in una casa di riposo che non ha nulla di riposante!

P.S. Riflessioni a margine, con libere interpretazioni personali, di un testo di Donatella Di Cesare –L’asfissia capitalista- 2020 Bollati Boringhieri – Torino“

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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