“Balkan Baroque”, performance che possiamo ammirare (con inevitabile disgusto e la coscienza scossa) nella mostra in via Santa Franca a Piacenza, è stata eseguita da Marina Abramovic, artista serba naturalizzata statunitense, in occasione della Biennale di Venezia del 1997, premiata con il Leone d’Oro. L’artista si mostra vestita con un camice bianco sporco di sangue su un cumulo di 1500 ossa di mucca sanguinolente e ricoperte da brandelli di carne, intenta in un atto di pulitura (simbolo delle logiche di pulizia etnica caratterizzante la guerra nell’ex-Jugoslavia) che viene eseguito con una spazzola. Rappresentazione dell’orrore della guerra, dei massacri che avvenivano nei Balcani (ma che caratterizzano tutte le guerre, a tutte le latitudini), dell’odore di putrefazione e del disperato tentativo di lavare via tutto il sangue dalle carcasse. Immagine, come si diceva, disgustosa e che deve far riflettere sulla necessità di sviluppare una cultura di pace, di soluzione nonviolenta dei conflitti. La guerra, sempre e soltanto, è orrore. Per chi perde, per chi vince. La pulizia delle ossa diventa il tentativo simbolico dell’artista di scontare i peccati commessi dal suo popolo durante questa guerra ed è un tentativo per rendere tutti partecipi del dolore portato da questo conflitto ma, naturalmente, il tentativo di “purificazione etica” vale per tutti i conflitti.