Non ho mai smesso di ostinarmi a credere
che un giorno il rombo nero dei mortai
sarebbe diventato un suono sordo
da ascoltare in Musei, dove la Storia
si potesse osservare con la lucida
legge del tempo, e non con quella antica,
prigioniera dei sogni del potere
che inabissa le chiavi di ogni tempio
come àncore rose dalla ruggine,
riarse in cupi gorghi di salsedine.
Ma sento troppe voci rassegnate
al ritorno dei barbari, al dominio
di queste loro onnipresenti armate,
con le insegne aggiornate di quell’odio
griffate sopra fibbie ed alamari.
Vorrei poterti dire, figlia mia,
che questo nero cigno sia allo stremo,
e che per il suo manto, così osceno,
l’ultima ora del canto sia vicina,
nonostante le grida che lo acclamano.
Speriamo di svegliarci, una mattina,
in cui il cielo riappaia nudo e sgombro,
sopra l’oro degli angeli, violato
da questa sordida, infiammata pece;
e le ali nere planino nel vuoto.