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Luglio 2003, nelle ore in cui Dalila é in camera operatoria per un intervento di particolare delicatezza, per l’esattezza il quarto – nell’arco di undici anni a partire dal 1992 -. Dal pennello prende forma una misteriosa creatura dalle vaghe sembianze d’una farfalla che intravede, oltre oscure vette dall’aspetto minaccioso, una parvenza di luce. Forse niente altro che un riflesso lunare, l’ultimo bagliore della luce che muore, o forse invece laggiù é la salvezza. Sospensione della sorte a venire nella mia sesta tela, dunque. Dalila invece la luce l’avrebbe rivista dopo sei ore circa ed era la luce del risveglio, l’uscita dal tunnel, dalla camera operatoria.
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Il quadro non è mai piaciuto a nessuno, ancora peggio di tutti gli altri e qualcuno ha pure sostenuto faccia anche paura. Pollice verso anche dai miei pur generosi figli che, pietosamente, definiscono i dipinti del loro padre “d’arte naif”, limitandosi a consigliarmi di studiare almeno un pizzico di tecnica.
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Per quanto mi riguarda sono particolarmente insoddisfatto della figura ed invece realizzato per il risultato finale della luce oltre le montagne che ignoro come possa essere uscita dal pennello. Comunque chi ha la ventura di entrare nella nostra piccola dacia in riva al fiume (il Trebbia, a Pontebarberino, poco prima dell’Orrido) può notarlo sopra al frigorifero, di fianco al televisore portatile, dietro alle mie carte di divinazione e a Topo Gigio, pupazzo simbolo degli amori infantili di Dalila.
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