Roma, quanto è bella Roma. Ma non per viverci. Truffaldina, opprimente, nababba per nababbi, meglio la grigia Milano




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Roma, 15 gennaio 2010, piazza Navona sul far della sera

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In viaggio per un’illusione, Fabrizio convocato per una collaborazione con una società di produzione e casting cinetelevisivo. A Roma, naturalmente. Riflessione?  Per giocarsi una speranza comunque occorrono soldi e, per sostenere i ragazzi, è una fortuna che il mio stipendio sia un buon stipendio. Anche se guadagnarlo costa tensione e qualche rischio di responsabilità. Se io fossi un operaio salariato, se avessi seguito le orme del babbo a far il ferroviere, personale viaggiante, potremmo sognarcelo, di partire per la lontana Roma. Così è la società capitalistica, commenta Fabrizio: ti illude di essere autonomo ma in realtà ti misura sui soldi che hai e dei soldi ti rende schiavo.

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Città di serie A, città di serie B, paesi di serie Subbuteo, c.c.t.f., città completamente tagliate fuori. L’alta velocità ferroviaria ha ridefinito pesi e misure del BelPaese. Piacenza è finita in serie Z, niente alta velocità e pendolari abbandonati al loro destino. Le FrecceRosse passano volando sul territorio deturpato dai lunghi condotti di cemento armato che tagliano in due il panorama mentre sulla linea ordinaria può capitare di ogni cosa. Malcomune della nuova provincia emarginata: l’altoparlante della stazione di Bologna annuncia la sospensione dei convogli, quelli ordinari, con destinazione la riviera. Causa rinvenimento ordigni bellici nella stazione di Viserba a mare. Quanto all’Intercity da Lecce viene conclamata la consueta ora di ritardo ma tutti tranquilli: TrenItalia si scusa per il quotidiano disagio.

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Roma, 15 gennaio 2010, oscure presenze nel Ghetto ebraico: Fabrizio Arzani (di spalle) e Ferruccio Braibanti (indicante)

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Bologna. Frammenti di un sogno. Era il 1977 e pensammo si profilasse all’orizzonte il mondo nuovo. Dieci anni prima i figli della borghesia illuminata, con le loro belle giacchette e le cravattine d’ordinanza, avevano fatto il 68 sputacchiando, contando sulla copertura garantita dai babbi,  sui poliziotti figli del proletariato. Poi, dismesse le giacchette, avevano indossato l’eschimo, facendone sfoggio arrivando a scuola sulle potenti moto giapponesi. E ancora oggi, divenuti alti dirigenti nell’aziendina di papà o nell’ente governato dal Partito, con quel 68 rompono le palle. Ma nel 1977 oggi negletto e dimenticato, fischiando Berlinguer alla Sapienza di Roma, si affermava che tutto era cambiato, s’affacciava un nuovo ceto sociale, i figli della classe operaia che, zitti zitti, erano entrati nelle Università. Brutti, sporchi e cattivi. Indiani metropolitani, Streghe che facevano tremare. Sogno breve, movimento ed autonomia, vocazione libertaria intollerabili, per il potere. Quello clericopapalino, quello nostalgico del ventennio ma anche quello del Grande Partito Rosso custode dell’ortodossia. Stazione di Bologna, sulla banchina del binario 6, aspettando l’Eurostar AV 9565, passa un ormai vecchio ragazzo del 77, vestito come allora, niente eschimo da boutique ma jeans e piumino usato da mercatino delle pulci, peccato siano passati trentanni e il mondo abbia preso ben altre direzioni. Messo male. Frammento di un sogno andato infranto, tardosauro che sopravvive nella riserva indiana dei sottoportici bolognesi. Apre il pugno mostrando un mucchietto di monete, ne chiede qualcuna ancora, ad alcuni per mangiare, ad altri per poter acquistare il biglietto del treno per tornare a casa, magari a Gualtieri, o a San Giovanni in Persiceto, paeselli c.c.t.f.. Lo guardo in cagnesco: colpevole di un fallimento, di essere caduto nella trappola, di aver permesso ai detentori del potere di soffocare il Movimento sotto valanghe di polvere bianca, di eroina, di provocazione e di repressione, di aver accettato d’imboccare la via morta di un’insurrezione armata in realtà voluta e limitata a pochi emarginati estranei al Paese. Lo guardo in cagnesco, niente soldi da parte mia.

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Roma, 15 gennaio 2010 – Per fugar dubbi sulla localizzazione

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Il treno megagalattico, specie nell’aspetto del costo del biglietto, arriva a Termini con 5 minuti di ritardo. Canonico, nella norma. In Giappone il governo si scusa per una manciata di secondi di ritardo registrati in tutto l’anno nell’intero sistema dei trasporti. Ma, dice Fabrizio, l’Italia è l’Italia.  Che non vuol dire niente ma così è.

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La convocazione si rivela una piccola bufala degna, quanto ad inventiva, più di Napoli che non di Roma, ma in verità tutto il Paese è Italia. L’Italia degli inventori e dei sognatori. Oltrechè dei truffatori. Fabrizio, accogliendo l’invito apparso in internet, aveva fatto richiesta per aderire ad un casting. Indicando nel modulo i ruoli di regia, aiuto regia, sceneggiatura. Società al secondo piano di un palazzo rinascimentale tirato a lucido in via Mazzini (l’immagine e la presentazione sono fondamentali), pochi passi dalla sede della Rai. Colloquio, poi, diceva l’operatore convocante al telefono, “ti facciamo fare qualche fotografia e qualche ripresa”. Bene. Ma da che parte della Canon? E qui si scopre che l’uno parla di mele e l’altro di pere. In realtà il posto offerto è solo quello da attore. Meglio. Aspirante attore. Qualche foto, un provino e si viene inseriti in un “archivio” a disposizione per eventuali chiamate. Previo, naturalmente, pagamento di 49 euro/anno per spese di segreteria.  E chi, senz’arte né parte, non sogna di essere protagonista di fronte all’occhio della telecamera? Che sono mai, per centinaia di ragazzi e ragazze, 49 euro in cambio di un sogno? Dunque. Quel sottile equivoco che costa il viaggio a Roma e vale la speranza che, tanto per tanto, il chiamato accetti e, per iniziare, metta mano al portafoglio. Senza escludere che, presto o tardi, per qualche ruolo da comparsa venga anche chiamato. Meglio ancora: qualche particina in trasmissioni televisive. Da pubblico. Plaudente a comando, badando bene a tener desta l’attenzione, guai a mostrar noia a c’è posta per te. Si fa fatica, ma oggi posso, sia pur con qualche fatica, garantire a Fabrizio la forza della coerenza: “sto studiando e sputando sangue per costruire una professionalità, non per far numero e scena dalla Ventura”. No, non arriveremo a Roma ammessi a passare dalla cloaca. “Piuttosto, dice Fabrizio, vado a fare il benzinaio e presto o tardi troverò un’officina che mi faccia lavorare e nel tempo libero continuerò a far girare la macchina da presa”. Per ora arriva una telefonata, dall’assessorato del Comune di Piacenza: propone di proiettare il cortometraggio di Fabrizio in un cinema d’essai. Piacenza non è Roma ma almeno tutto è chiaro e trasparente: appuntamento a martedi prossimo per i dettagli.

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Roma, 15 gennaio 2010 – Campo dei Fiori, luci nella notte

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Eppoi, a dirla tutta, ma come si vive a Roma? Appartamento 60 mq. Zona Trastevere 580mila euro. Affitto bilocale zona Campo de’ fiori Mille euro mensili. Attico piazza Navona UnMilioneDuecentoSessantamila euro. Monolocale 4mila euro d’affitto. Ma che razza d’Italia è questa? Stipendio mensile di un operaio 1.100 euro! Ferruccio ci porta a mangiare nel ghetto ebraico. Qui, dice, di venerdi è tutto chiuso ma lui conosce un locale che fa eccezione. Chissà che film ha visto, Ferruccio. Luci, colori ed effetti speciali, concretezza limitata. Passata la fontana delle tartarughe, finiamo in piazza, a Campo dei Fiori. Molta gente a passeggio nonostante il freddo gennaiolo. Tre pantere carabiniere e una dozzina di militi in straordinario ordinario notturno. Si mangia in piazza. Saltimbocca, Tagliata, Ossobuco, cannelloni, spaghetti all’amatriciana. Niente carciofi alla giudea, non bisogna esagerare col pretendere cucina tradizionale altrimenti tedeschi ed americani che mangiano? Primo, secondo, contorno, acqua minerale, una birra media, mezzo gotto, caffè. Simpatia e disponibilità romanesche. Poi il conto. 122 euro, 41 a testa. Belìn, alla faccia! Paghiamo la piazza, dice Ferruccio. Ma come fanno, a vivere, i romani? Forse mangiano rintanati in casa i carciofi introvabili in trattoria.

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Eppure Roma è bella. Una, dieci, mille città. Roma monumentale, tanto grande da risultare opprimente, dice Fabrizio. Roma rinascimentale, Roma romantica, la Roma del ventennio, la città degli anni sessanta, la città degli anni ottanta, la Roma dei parchi e la Roma della tangenziale, la città popolaresca, la città papalina. Roma è sporca, Roma è opprimente, a Roma si muore, è bellissima Roma turistica, ma impossibile da vivere. Lo pensa Fabrizio. Meglio Milano, che al confronto non ha nulla ma è compatta, unitaria, ben organizzata per viverci. No, dico, non puoi dire così, Milano è terribile, senza fantasia, orientata solo all’impresa. Roma è mille città, scegli quella che più ti aggrada e ti sentirai un Re. Sul FrecciaRossa delle 7.15 una signora si sente in obbligo d’intervenire, io abito a Roma ma ti trovi chiuso nel tuo quartiere, è spenta, ti spegni, mille volte meglio Milano.

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Roma, 15 gennaio 2010 – Campo dei Fiori,tavola imbandita in piazza

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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