Roma, generosa matrona custode d’amori ritrovati ma attenzione, mal coglie mentire alla bocca della verità

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FotoLeggendo, "Tra passione e professione", mostre in Roma fino al 31 ottobre
Sandro di Camillo: Berlin babylon
Città diverse avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili

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Roma, generosa sorridente matrona che avvolge suadente nell’abbraccio dei suoi colli gli amori, quelli giovani, quelli antichi, gli amori stanchi, amori perduti, amori ritrovati. Quanto può durare un amore? Una notte, giorni struggenti, mille anni, oltre la vita, oltre la morte. Son sempre più rari gli amori per sempre e forse sono solo illusioni. Gli amori, quel fuoco che arde, che brucia, che non conosce ostacoli, gli amori come fuoco che arde lentamente si spengono. Restano i rapporti. Fiamme a basso tono, magari ancora più semplicemente braci sotto la patina grigia delle ceneri. O forse è questo l’amore vero? Non i fuochi scoppiettanti, le fiamme animelle che volano verso il cielo, che saltano, danzano, incontenibili. Mordono. Talvolta fanno male. Fiammelle animelle attaccano gli abiti delle genti, ardono, distruggono, divorano gli incauti che imprudenti s’avvicinano troppo all’ardente pira. Io e Dalila. Quell’amore incoronato nel 1983 sull’altare della chiesa a svettare sulle valli dell’Appennino, da tempo camminava zoppicando, dietro l’angolo s’intravedeva l’ultima fermata, il capolinea. Ma quell’angolo così vicino, non l’abbiamo superato. Non allora e a dire il vero, ancora oggi, non ancora. Chissà, forse domani forse mai. Que serà, serà, nessuno saper potrà, che mai succederà, que serà, serà. Il segreto? Comuni interessi, visioni comuni. Con quel pizzico di buona volontà per coltivarli, quegli interessi, cercando di limitare quanto invece inevitabilmente divide. O forse a dominare la scena, a guidare i nostri destini, il caso, la fortuna. Ad un passo da quell’angolo dietro il quale aspettava il capolinea trovammo sulla nostra strada un grande interesse comune, l’arte. L’impressionismo, l’ottocento, il secolo romantico. Dopo tanti anni interamente dedicati ai figli ci ritagliammo uno spazio nostro. Il caso: un depliant nel cellophane che avvolgeva l’Espresso conservato per mesi vicino all’apparecchio telefonico con un invito infine raccolto. Salimmo su un Intercity diretto a Torino per ammirare la grande mostra “gli impressionisti e la neve”. Che terminava con un grande dipinto a parete intera. Pareva l’ombra di due mostri oscuri incombenti sull’umanità. Era la visione notturna d’un panorama norvegese, una casa immersa nella neve, tra piante ad alto fusto slanciate verso il cielo. Un grande maestro: Edvard Munch. Uno shock, uno spettacolo d’indescrivibile bellezza. Poche settimane dopo la notizia d’una grande mostra interamente dedicata al Maestro. Naturalmente a Roma. Era il 2005, l’occasione, dopo dieci e più anni, per il ritorno.

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FotoLeggendo, "Tra passione e professione", mostre in Roma fino al 31 ottobre
Norma Rossetti: Scampia periferia nord, Napoli
Palazzi diroccati e interni lussuosi, muri ammuffiti e arredi barocchi, degrado e criminalità nella prima piazza di droga d’Europa

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Un’occasione per ripercorrere insieme le strade, i luoghi, gli odori, le sensazioni vissute singolarmente. E Roma seppe essere generosa accogliendoci nei suoi vicoli, permettendoci di scoprire quei luoghi che, a posteriori, è poi difficile distinguere tra reale e sogno. Che comunque restano impresse indelebili nei ricordi. La città dell’arte. Munch al Vittoriale, l’altare della Patria, Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto e in piazza San Pietro una grande mostra dedicata a Maria, una Signora vestita di luce. Seduti, insieme, su un divanetto provvidenziale. Stanchi, stravolti, assonnati, le gambe a pezzi dopo troppo camminare in un lasso di tempo troppo limitato. Le meraviglie a portata di mano. La bocca della verità dove immancabilmente timidamente e con circospezione infilammo la mano badando a non contare frottole per evitare la drastica punizione. Le meraviglie nascoste. Il ristorante di Alessio, all’angolo tra Via Viminale e via Principe Amedeo, la scala che porta ad altezza cantina, il menù tipico del mangiare alla romana. La piccola trattoria a conduzione familiare a pochi passi dal Pantheon, un piccolo tavolo a due e la tovaglia a quadri come usava negli anni cinquanta  e sessanta nelle campagne. La voglia di ritrovare argomenti comuni, raccontarsi del passato comune, alzare veli sul futuro prossimo venturo possibile. Seduti al bar in piazza Navona, ad ammirare due carabinieri in alta uniforme a cavallo, in attesa di vedere affacciarsi Marta Marzotto.

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FotoLeggendo, "Tra passione e professione", mostre in Roma fino al 31 ottobre
Fabio Rizzo:where o when
Tempo e spazio fuor di schema

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Scritte sui muri, residui d’un anno ormai niente altro che celebrazione di quel che è stato, che poteva essere e che ormai resta solo sogno e illusione. Il 1968 degli intellettuali borghesi e il 1977 dei figli della classe operaia. Gruppo proletario anarco insurrezionalista: presente! Diceva la scritta in via della Scrofa, destinataria la sede di Alleanza nazionale ex Movimento Sociale, ma ormai a far tremare le gambe non erano più i rivoluzionari della falce e martello. Morte le ideologie, smascherate da Reagan e dal Papa polacco, facevano già paura gli islamici di Bin Laden. In piazza San Pietro, per superare il colonnato del Bernini, lunga attesa sotto il sole in coda per passare all’esame dei metal detector.  Pedaggio obbligato per poter scendere nelle Grotte Vaticane, ad ammirare l’ultimo riposo di Giovanni Paolo II. Era vecchio, era stanco, se n’era andato. Erano venuti in migliaia di migliaia. Treni, torpedoni, una grande kermesse nazionalpopolare, lungo il percorso del corteo, piccole resse per guadagnare i bagni montati oltre le transenne. Scarsa ponderazione, molta troppa emozione. Squilibrio. Lungo via della Conciliazione ad una finestra ancora sventolava un lenzuolo con la scritta “Santo subito”. Roma, città vissuta in una giornata, che vale l’eternità. Una storia, mille vicende, infinite forme d’amore.

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FotoLeggendo, "Tra passione e professione", mostre in Roma fino al 31 ottobre
Marco Vacca: Rifugiati

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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