Psycotron (poesie da un altro altrove, 1975-76 [ 7 ])

L’essere correva a mozzafiato

tra le grigie, labirintiche pareti

precludenti alle soglie immortali.

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Gigantesche colonne d’Ercole,

costituite dal limite corporeo,

s’ersero immani a ricacciare

l’indegna tracotanza

nella fangosa porcilaia

dell’umana pazzia.

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1976: il ciclo delle poesie di un altro altrove, iniziato un anno prima, con questa “Psycotron”, volge ormai al termine.

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Il mondo inesorabilmente avviato verso la distruzione nucleare dalla tracotanza umana è stato raccontato.

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2085 d.C.: il pianeta distrutto, deserto, abbandonato, la vecchia cara madre Terra non è altro che buio (i fumi nucleari coprono il cielo, impediscono alla luce solare di filtrare) e polvere radioattiva che ristagna nell’aria ormai irrespirabile.

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Le astronavi partite alla ricerca di una nuova possibilità si sono perse nello spazio.

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No, nessuna speranza per l’umanità se non verrà fermato il ciclo della rincorsa agli armamenti, al nucleare, alle guerre.

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Ma dagli scenari intergalattici e dal futuro apocalittico, la realtà del quotidiano mi riporta … con i piedi per terra.

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L’umana pazzia non sta solo nei colpi di stato in Argentina o nelle bombe al napalm degli americani in VietNam.

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Il 28 maggio 1976 a Sezze Romano (LT) un gruppo di fascisti, capeggiato dal deputato del Msi Sandro Saccucci, al termine di un comizio si lancia in una folle corsa con le auto, spara  e uccide un ragazzo, Luigi De Rosa.

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Dalla poesia che analizza le vicende del mondo proiettandosi in un ipotetico futuro, passo all’impegno diretto, in campagna elettorale per il Partito Socialista Italiano (si sarebbe votato a giugno). In piazza mi ritrovo con i giovani socialisti a distribuire volantini contro il raid criminale di Saccucci (che fuggirà in Argentina) e camerati. Una ragazza mi prende il volantino e, senza sentire ragioni, lo appallottola sbattendomelo in faccia.

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Domando se, per lei, uccidere un ragazzo, anche se “rosso” fa parte delle regole del gioco. Non risponde e, con tracotanza, se ne va soddisfatta.

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In quei primi mesi di quel 1976 sembrava senza fine la rincorsa al morto, ora di destra, ora di sinistra. Eravamo al dunque, cambiava la società italiana, a luglio sarebbe diventato segretario del P.S.I. un semi sconosciuto Bettino Craxi, si preannunciava alle porte il 1977, di lì a pochi mesi gli studenti dell’Autonomia avrebbero cacciato Lama dall’Università di Roma.

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Cambiava la società italiana, maturavo a mia volta un nuovo approccio alla composizione: dalle poesie di un altro altrove sarei passato alle poesie del Movimento, le poesie di lotta e di resistenza all’insegna della logica che il poeta canta della realtà che vive e, di questo, la nomenklatura di governo mi avrebbe presentato salato conto. Ma, appunto di questo, parleremo alla prossima, quando con l’ultima poesia si concluderà il ciclo dell’Apocalisse planetaria.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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