Era un giorno di ottobre del 2007, nasceva dalle ceneri dei DS il PD. In virtù di una convinzione profonda di Massimo D’Alema: nel BelPaese la sinistra, da sola, non avrebbe speranze di vincere le elezioni.
Poche settimane prima, come delegato al Congresso regionale DS, avevo salutato amici e compagni di un percorso comune decennale perché io, di antica militanza socialista, “non volevo morire democristiano“.
Dieci anni dopo ieri ho riabbracciato molti dei compagni di allora e confesso, mi sono commosso. Riusciremo a ribadire i valori nei quali abbiamo creduto in gioventù, dal principio della democrazia al diritto al lavoro?
Non so, il cammino é difficile, la società é profondamente cambiata, oggi predomina un indirizzo leaderistico, il bisogno di un capo decisionista, Renzi e Marchionne non solo dialogano amabilmente ma s’aggirano sottobraccio nei corridoi della grande fabbrica, lo Stato centralizza tutto, la logica economicista domina sacrificando servizi sociali elementari, si concentrano gli ospedali sempre più lontano dalla residenza dei pazienti, si tolgono le risorse agli enti locali, si consente a condannati in Tribunale per peculato di sedere sugli scranni parlamentari. E la lista sarebbe lunghissima tanto da garantire spazio ai populismi e ai movimenti di protesta che si rivelano incapaci di governare.
Allora? Difficile aver certezze ma, per dirla semplicemente, proviamoci almeno. Continuiamo a credere nei valori che avevamo da giovani, continuiamo a credere che la sinistra possa dimostrare che D’Alema aveva ed ha torto, che la sinistra possa governare il BelPaese secondo principi e valori progressisti senza intrupparsi con i conservatori Berluscone e Alfano, con la finanza senza scrupoli, con gli industriali che prendono finanziamenti dallo Stato e il giorno dopo delocalizzano la produzione, senza lasciare spazio alle ambiguità di Di Maio, della Raggi e del Movimento di Grillo.