Piacenza: per una lastra a mammà 40 giorni in clinica e 50 in ospedale.

La zona di Bobbio già abitata nell’Età della pietra e viene successivamente popolata da insediamenti liguri. Ai liguri subentrarono i Galli e poco dopo Bobbio entra definitivamente nell’orbita Romana. La sua storia si identifica con quella dell’Abbazia fondata nel 614 da San Colombano, che nell’Alto Medioevo diviene una delle principali sedi della cultura religiosa medioevale in Italia, con un famoso scriptorium ed una celebre biblioteca.

40 giorni di attesa in clinica, 50 in ospedale. Per una pur “banale” lastra radiologica al torace per verificare lo stato dei polmoni della mamma, ottantasette primavere, una vera ‘roccia’, per fortuna sua e soprattutto mia. Tuttavia, mi ha informato l’operatrice, l’attesa potrebbe limitarsi a soli 7 giorni scegliendo come sede d’esecuzione l’ospedale di Bobbio, 45 km dal capoluogo, 250 metri s.l.m., prime pendici dell’Appennino tra Liguria ed Emilia. Diciamolo subito: la diagnosi alla fine è risultata positiva, la salute della mamma non è in discussione e questo consente di valutare la situazione con molta serenità. Perché il viaggio fino al paese del Ponte Gobbo (o del Diavolo che dir si voglia) è stato emozionalmente e sentimentalmente una grande opportunità. Nel logorio dei frenetici tempi moderni, una giornata passata insieme con la mamma, un’occasione più unica che rara, quasi un  ritornar bambini. Appuntamento fissato alle 11.30, partenza dal capoluogo in macchina un’ora prima, guida senza fretta chiacchierando con tranquillità di tutto e di niente, arrivo con qualche minuto d’anticipo, nessuna coda, personale gentilissimo, grande attenzione, anche sul piano umano per la mamma. Poi c’era da aspettare che il Primario, da Piacenza, dall’ospedale provinciale, quello dei 50 giorni d’attesa per eseguire lo stesso esame, refertasse la proiezione eseguita con le immagini trasmesse in via telematica. Così s’è approfittato per una passeggiata nella centrale Contrada di Porta Nuova, visitando un paio di negozi, acquistando olio al tartufo e un paio di confezioni di funghi. E il miele? Per quello niente da fare, tutto esaurito, se non vuoi accontentarti di quello industriale bisogna aspettare la nuova produzione, non prima di metà giugno. Naturalmente non ci siamo negati, io e mammà, anche un buon pasto al ristorante, all’Hotel Giardino, quello sulla curva che porta al Penice, cucina tradizionale, porzioni abbondanti, costo contenuto. Ecco, potrei chiamarla un’occasione di “turismo sanitario”, un modo a misura d’uomo di vivere l’esperienza della prestazione, dell’esame clinico diagnostico. Certo mi è costato un giorno di ferie ma dipende dal punto di vista. Se lo vedessimo come l’opportunità di passare qualche ora con la mamma, quasi vivendo una giornata ritornando bambino laddove si scopre che ora è la mamma ad essere bambina, lei che s’appoggia al figlio divenuto adulto? Certo non è giusto, non è normale pensare a quell’attesa di 40 o 50 giorni. Mettiamo il caso che l’esito evidenziasse qualche problema: l’attesa sarebbe decisamente fuori luogo e per questo è giusto l’impegno di chi governa la sanità per migliorare i tempi di prestazione ma nel caso capitato io allargo la riflessione sulla volontà più volte dichiarata da parte del Ministro della Salute di chiudere i piccoli ospedali laddove costi e benefici valutati sui grandi numeri non coincidono esattamente. Bene. Talvolta però la prestazione sanitaria proprio nei piccoli ospedali risulta un’esperienza ancora ‘a misura d’uomo’ e come tale non da sottovalutare. Non si vive insomma di soli numeri, di grandi numeri: economia e salute può essere un binomio in termini di razionalizzazione (‘spendere meglio, sprecare meno’) ma sicuramente però l’aspetto meramente economico non può mai essere quello prevalente, anzi. E comunque, costi o non costi, per una anziana mammà 87 primavere, pur ringraziando per la bella opportunità offerta d’una stupenda giornata insieme in quel di Bobbio, per una ‘banale’ lastra al torace 40 giorni d’attesa in clinica e 50 giorni nell’ospedale provinciale non è una bella risposta da sentirsi dare.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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