“Mi chiamo Meriam, sono una bambina palestinese”, di Giuseppe Diodati

Mi chiamo Meriam e sono una bambina palestinese. Non che volessi nascere in Palestina, per me anche se nascevo ebrea o meglio italiana era lo stesso.
Poi, non ho deciso io ma Dio, se c’è, perché io sono una bambina palestinese e mica lo so se Dio esiste e che nome ha.
Ho sentito dire che in occidente le donne sono più libere che da noi, non tutte, ma avrei voluto provare.
Avrei voluto studiare, diventare grande e fare le mie scelte, magari sarei diventata un grande scienziato e avrei trovato una cura per il cancro.
Non lo saprò mai come non lo saprete mai.
Sono nata a Gaza, un posto che dicono fosse bellissimo e ora è uno schifo tremendo, ma voi, meglio a voi cosa importa? Voi parlate di diritto di Israele, di Hamas e di terrorismo, voi siete istruiti io no, io sono nata a Gaza e mia sorella è morta perché non aveva di che curarsi, sapete c’è una cosa che i grandi chiamano embargo e non passano molte cose medicine comprese.
Mi chiamo Meriam e sono una bambina di nove anni di Gaza, discriminata perché donna, ma a dire il vero non so cosa voglia dire esattamente.
So solo che mi hanno ammazzata le bombe istraeliane a me che non ho fatto nulla, a nove anni che cavolo dovevo fare di male.
Dicono sia giusto così, noi siamo sporchi e cattivi, anche ignoranti, loro sono istruiti, studiano i loro testi di religione come noi studiamo i nostri.
Se vado in paradiso non voglio sentire parlare di religione, ma tanto lo so che è tutto un grande imbroglio e che non vi è nessun dio, scritto minuscolo o se c’è è andato via, qualunque sia il suo nome.
Potevo nascere Israeliana che sfiga però nascere palestinese, se rinasco spero vada meglio la prossima volta.
Una cosa non ho capito, ma perché mi hanno ammazzato?

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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