“L’incontro di Giuseppe e Antonino (dicembre 1999)”, racconto di Vittorio Melandri

Piacenza: piazza Sant’Antonino in uno scatto di Mauro Molinaroli

È una fredda e pulita mattina di Dicembre, come non di rado né capitano dalle nostre parti, siamo nell’ultimo anno, veramente ultimo, del millennio.

È presto, il cielo è limpido, la luce non ha ancora completamente preso il sopravvento sull’oscurità, uscendo dalla penombra del porticato che completa la facciata neoclassica, Giuseppe muove qualche passo in direzione di S. Maria in Cortina, la chiesa quasi invisibile, che è lì da sempre, d’improvviso si volta a guardare il suo teatro, quello per intenderci che una guida verde chiama già, nella sua prima edizione del 1998, teatro municipale “Giuseppe Verdi”.

Un brivido lo scuote, non sappiamo se di freddo o di piacere, vediamo questo si, che calca il cilindro sulla testa e si sistema la sciarpa attorno al collo, prestando attenzione a non spettinare la bella e folta barba ben curata.

Alza lo sguardo e vi leggiamo palese compiacimento, la facciata immaginata da Lotario Tomba, è stata da poco ridipinta di un colore giallo, tendente all’ocra e gli appare linda e perfetta, con tutte le sue linee semplici e chiare che in bell’ordine, sono esaltate dal cielo azzurro e terso che fa da sfondo.

Poco più in là, nel silenzio mattutino che ancora impregna gradevolmente la piazza, Antonino, è appena uscito dalla porta centrale, questa mattina singolarmente aperta, della chiesa che fu cattedrale.

Lascia alle spalle la spoglia facciata e la torre ottagonale, che con la sua possanza, unica in tutta la città a stagliarsi così libera verso il cielo, fa da contrappunto al suo portamento, umile ma anche fiero, non più del suo passato di legionario, ma del suo presente di martire. Scende i pochi gradini della scalinata che separa la basilica dall’omonima piazza, Sant’Antonino, e il suo sguardo coglie Giuseppe proprio mentre questi è lì, fermo a rimirare l’opera altrui, che lui con la sua opera conferma e anche trasforma, fino a darle vita nuova ogni giorno.

Antonino non conosce Giuseppe, ma quando il maestro coglie la presenza dell’altro, e volgendo lo sguardo alla sua sinistra lo vede, entrambi si riconoscono.

L’uno è più giovane, se guardiamo al suo tempo di vita, secondo alcuni tanto breve da coincidere con il nulla, ma tanto più vecchio se ricordiamo da quanto tempo ci ha lasciato le sue spoglie, ritrovate proprio lì a due passi, in quella S. Maria in Cortina, oggi tristemente chiusa.

L’altro è più vecchio, ha vissuto quasi per intero il suo secolo, ed è morto giusto all’alba del secolo triste che sta finalmente per finire, ma è tanto più giovane rispetto a noi che assistiamo infreddoliti e curiosi, a questo straordinario incontro.

Al dialogo dà inizio Giuseppe, cogliendoci di sorpresa.

Avrai sentito Antonino, che si fa un gran parlare in città di una statua che ti rappresenta ed anche dell’opportunità di rivendicare i miei natali, secondo alcuni, avvenuti in terra piacentina.

Un gran parlare ribadisce Giuseppe, ma senza gioia aggiunge subito Antonino, come sempre più spesso accade, prevale, è questo che sento, la voglia di vedere vincere le proprie ragioni, sulla voglia di trovare delle buone ragioni.

Si spengono le luci notturne della città, un pullman di piccola taglia, colorato di bianco e di rosso, passa a ricordare ai nostri incredibili concittadini, che il tempo per la loro quieta conversazione, si è già un poco ridotto, come se ne volesse riguadagnare, Antonino prende sottobraccio Giuseppe e lo invita a risalire i gradini appena prima discesi, sino a portarsi in prossimità della porta principale della chiesa, da qui lo sguardo può facilmente spaziare tutto intorno, soffermarsi sul teatro, perdersi lungo Via Verdi, cercare invano di voltare l’angolo per imboccare via S. Antonino, il dialogo riprende.
Ti confermo Antonino, che non mi sono pentito di aver voluto sepoltura a Milano, ed anche, che mi fa sorridere questa disputa, per altro ignota a quelli di Parma, sulla mia nascita avvenuta di qua o di là di un labile confine fra due province che da sempre si specchiano l’una nell’altra, bagnate dallo stesso fiume, amate e odiate dalla stessa gente.

Io ho parlato tutta la vita e poi ancora quando è finita, lo stesso linguaggio, la musica, e questo mi fa cittadino del mondo, chi mi vuole onorare non può non tenerne conto.

Antonino è venuto fin qui dall’Egitto, extracomunitario per usare un termine a lui sconosciuto, noi che assistiamo sempre più incantati al dialogo fra i due, possiamo proprio dire, con un apparente gioco di parole, che le parole di Giuseppe suonano come musica per le sue orecchie. Presto lo sentiamo ribattere. Anch’io non mi sono pentito di aver lasciato la mia vita a Travo, in riva alla Trebbia, altri hanno poi disposto delle mie spoglie, ma mi accomuna con te l’aver parlato e il parlare tuttora un linguaggio universale, tu quello della musica io quello dell’amore, che poi altro non sono che due dialetti della stessa lingua. “Le parole degli uomini sono come ombre” ci ricorda quel grande scrittore lusitano, per questo da sole non bastano, occorre chi, come noi, cittadini del mondo, provi a dimostrare che gli uomini sono legati da un unico interesse. Stare. Trovarsi insieme.
In una cosa, in verità siamo differenti, tu sapevi già in vita di essere un grande musicista, io ho saputo molti anni dopo la mia morte, di essere diventato santo e patrono di questa città.

Tu, già in vita, hai spiegato con la tua musica che chi ti voleva onorare, doveva aprire porte, abbattere barriere, liberare gli uomini, tutti gli uomini, dalla peggiore delle schiavitù, quella che li incatena alle loro reciproche incomprensioni. A me lascia ricordare oggi, che la nostra lingua parlata di un tempo, chiamava patrono colui che aveva affrancato uno schiavo. Se ieri ho dato la mia vita per la costruzione della chiesa cattolica-universale piacentina, oggi che mi scopro patrono della città, sento che la mia ambizione è cresciuta, travalica i confini della mia chiesa, e vorrei essere, non solo santo protettore, ma nel senso antico del termine liberatore di tutti, credenti e non, residenti o solo di passaggio, compresi ovviamente quelli come me, gli extracomunitari.

Giuseppe è un po’ sorpreso, noi lo sappiamo, ne siamo certi, si sta chiedendo come la prenderanno i gentili promotori di un referendum, teso ad impedire che i piacentini spendano denari per costruire “un’altra chiesa”. Ci accorgiamo subito però che la sorpresa svanisce presto, il tempo scarseggia, il traffico sta aumentando, e vediamo che oltre a noi, che con discrezione abbiamo seguito il singolare incontro fin dal principio, qualche altro concittadino frettoloso e freddoloso, si è accorto di quei due, quantomeno singolari, personaggi e sappiamo come vanno queste cose.

È sufficiente che uno solo si fermi, ed in breve tempo Giuseppe ed Antonino si troverebbero nella scomoda convenienza di dover rendere conto del loro, a quel punto non più libero dialogare. È forse per questo, o forse anche perché l’aria fredda del mattino induce a desiderare un veloce ritorno alla dimora abituale, che Giuseppe con l’aria di chi, senza offendere il proprio interlocutore, vuol por fine all’incontro, chiede. Tu Antonino, posto che a caval donato non si guarda in bocca, dove vorresti fosse collocata la tua statua?

Quell’altro mostra subito di non avere dubbi, non lo so, risponde.
Sono passati tanti anni, la città è cambiata, tanti luoghi che potrebbero ospitarla degnamente, mi sono sconosciuti, e poi so bene che non compete a me fare una scelta. Oggi i nostri concittadini si sono dotati di strumenti appositi, per queste bisogna.

Assemblee, commissioni, esperti, tutti gelosi custodi delle loro prerogative. Forse posso esprimere un desiderio, questo si, un suggerimento magari, sottovoce, per non farlo pesare troppo. Ho saputo, caro Giuseppe, che recentemente, i piacentini più importanti, hanno dato vita in città ad un’assemblea per stringere fra loro un patto utile al rilancio di Piacenza.

È apparsa sul giornale una foto a suggello di quei lavori. Ritraeva insieme il Sindaco, il Presidente della provincia, ed il mio Vescovo. So che tutti e tre mi sono devoti, mi chiedo se non potrebbero proprio loro, trovare e indicare una soluzione che soddisfi il mio desiderio di cui prima ti parlavo. Desidero essere patrono di tutti, e non soltanto santo della diocesi. Mi piacerebbe poter incontrare tutti gli uomini e le donne di questa città, e scoprire che mi riconoscono non solo perché santo, cattolico, martire ed egiziano, ma anche perché capace di ricordare loro che hanno un superiore inter-esse da conquistare. Imparare a comprendersi. Io voglio essere d’aiuto.

Mi scuso per l’impertinenza, con i tre autorevoli personaggi che vado così a scomodare, ma lasciami esprimere, soprattutto al mio Vescovo, una supplica. Lasciatemi andare in trasferta, oltre i confini amorevoli della mia chiesa, e Lei sua Eminenza, mi sostenga, voglio propormi anche come patrono dei non cattolici.

Non ho la ventura di conoscerLa personalmente, ma se la fisiognomica non mi inganna, dei tre esimi personaggi cui sto chiedendo aiuto, mi pare proprio, in contrasto con l’abito che porta, sia Lei ad essere il più Laico.

Il maestro a questo punto, non nasconde il suo imbarazzo, lui è un uomo di mondo, come lui anche noi sappiamo che in questi casi le parole producono spesso effetti contrari, alle ragioni che vogliono perorare. Soprattutto se non usate con la dovuta prudenza e …deferenza. È un momento delicato, pensa Giuseppe, lo avvertiamo dalla sua espressione, anche perché nel frattempo un’altra domanda gli è venuta alla mente, intanto che Antonino parlava, o straparlava, non sappiamo bene, giunti a questo punto. La nuova domanda non è altro che la precedente rivolta se stesso. Lui, Giuseppe, la sua questione come la vorrebbe risolta?

Come se che quell’altro gli leggesse nel pensiero, sentiamo Antonino, che ritiene, evidentemente senza preoccupazioni di sorta, di aver esaurito la sua risposta, rivolgersi a Verdi senza mezze misure, come abbiamo imparato essere suo costume.

Io non credo che tu sia soddisfatto. Se i cittadini di Piacenza perdono tempo a rivendicare i tuoi natali, se si accapigliano per cambiare nome al loro teatro Municipale, credendo di onorarti se lo chiamano con il tuo nome, i cittadini di Piacenza sbagliano di grosso.

Proprio così Antonino, come ti ho già detto, mi sento cittadino del mondo, e ritrovarmi nato a Piacenza piuttosto che a Parma, mi è del tutto indifferente, e poi quanti teatri si chiamano già Giuseppe Verdi, no, se vogliono approfittare del centenario della mia morte, per fare qualcosa in mio nome, i miei amati piacentini devono essere, e mi perdonino se sembro poco generoso nei loro confronti, devono essere dicevo, più originali.

Anch’io provo ad esprimere sottovoce un desiderio, ma prima devo metterti a parte di una riflessione. Il nostro meraviglioso paese come sai, ospita un popolo che è stato definito in molti modi, un tempo qualcuno ha parlato di un popolo d’eroi, di navigatori, di santi, di poeti, più recentemente mi è capitato di leggere che Indro Montanelli, il venerato decano dei giornalisti italiani, lo definisce un “conglomerato di bastardi accampati sulla più bella terra del mondo”.

Io non credo al popolo d’eroi e neppure al popolo di bastardi, ma so per certo che è ancora in grande misura un popolo d’ignoranti, e che è somma la misura dell’ignoranza dell’alfabeto musicale. Un’iniziativa in mio nome, capace di erodere quell’ignoranza, mi farebbe felice.

Non penso alla nascita di legioni di musicisti, ma alla capillare diffusione della conoscenza di quella grammatica della musica, che potrebbe consentire a tutti di avvicinarsi di più, al senso universale del mio linguaggio.

Penso a Piacenza culla di un’università popolare della musica, capace nel nome di Verdi, di clonarsi in tutto il paese, con una missione dichiarata, quella di innalzare anche solo più su di un gradino la cultura musicale degli italiani. Sono un illuso? Chiedo davvero troppo?

Il silenzio, come doveva essere in principio, fa seguito alle parole del maestro. Antonino non sa davvero cosa aggiungere i due hanno esaurito il tempo a loro disposizione, la città si manifesta nella sua veste frenetica abituale, c’è spazio solo per ritirarsi, Antonino nella sua chiesa, Giuseppe nel suo teatro, noi al riparo dell’esile speranza che questa vigilia di Natale, l’ultima del millennio, porti davvero a Piacenza e alla sua gente, una qualche buona novella. Buon Natale

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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