“Quando le caserme sfamavano i piacentini”, di Giuseppe Romagnoli (racconto tratto da IlPiacenza on line)

Durante la prima guerra mondiale e dopo la pace presso le caserme (il 22° fanteria di via Castello, il 21 artiglieria da campagna sullo Stradone Farnese, il Genio Pontieri in via S. Sisto e Piazza Cittadella, presso l’Ospedale militare a Porta S. Raimondo) appena terminato il rancio dei soldati, si aprivano le porte secondarie e dalle cucine, miracolo quotidiano, sortiva la grande marmitta con i resti del rancio (sempre ottimo e soprattutto abbondante!) che veniva distribuito alla gente in fila con qualche pagnotta. Nessuno si vergognava per quell’elemosina, la fame era troppa.

Questa situazione si ripeté puntualmente durante la seconda guerra mondiale e subito dopo, nel ’45, quando tante famiglie dai rioni più popolari, Borghetto, S. Agnese ecc, mandavano soprattutto donne e bambini alle porte di quelle stesse caserme che trent’anni prima avevano sfamato i loro padri. Come allora le latte di conserva con i manici di filo di ferro accoglievano la brodaglia ormai tiepida o i “famigerati suflòn”, la pastasciutta avanzata dai soldati, una vera e propria manna per tante “locuste” affamate. Fino a non molti anni fa, tanti anziani che erano scampati alla fame grazie a questa silenziosa e discreta solidarietà, si vergognavano un po’ a raccontare del cibo ricevuto ma poi, per fortuna, i tempi erano mutati.

La caserma di via Castello

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Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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