Dal 1° luglio 1931 (entrata in vigore del “nuovo codice di pubblica sicurezza”) tutte le case di tolleranza e le loro amministrazioni, (in primis nella persona delle tenutaria, poi di seguito, con un certo grado di complicità, pure anche del proprietario…) furono considerate responsabili di fronte alla legge, (anche risarcendo in solido…) della condotta di ogni prostituta assegnata, che non si fosse comportata correttamente, cagionando danni a cose e a persone, (anche al di “fuori dell’ambito lavorativo”, ad esempio durante il viaggio di trasferta per la “licenza ordinaria”), per “violata consegna” nel non aver adeguatamente “preventivamente vigilato”, sulla affidabilità della persona” e del suo “operato”, con le dovute “precauzioni”, difatti le prostitute “nuove” che dovevano ancora finire il loro tempo di “prova” con il rigorosissimo “apprendistato” da espletare prima di passare di “ruolo effettivo”, dovevano totale “obbedienza” oltre che alle autorità di polizia, all’ufficiale medico, alla tenutaria, e al “padre cappellano” (monsignore incaricato dal vescovo come “padre spirituale” e delegato come rappresentante curiale nel consiglio di amministrazione) anche alla prostituta più anziana, detta “madrina” che aveva l’obbligo insieme con le altre “figure responsabili” di controllare la condotta e l’ operato, partecipando alla “relazione” di una vera e propria “pagella”, oltre che d’insegnare praticamente “tutto”.
Lo stato di servizio, non bastava che fosse giudicato “sufficiente” (cioè non aver mancato a nessun obbligo sull’osservanza delle leggi e dei regolamenti interni) per poter esercitare sempre e comunque, doveva essere “buono” (giudizio che contemplava una atteggiamento “fortemente collaborativo”, anche denunciando eventuali mancanze delle proprie colleghe, sia coetanee che superiori, ma sempre e comunque rispettando la via gerarchica…) Esistevano a riguardo determinate “interventi” che la Tenutaria (in qualità di pubblico ufficiale) poteva applicare discrezionalmente, di tipo punitivo, sanzionatorio e restrittivo, a patto che le “mancanze” non fossero troppo gravi, o considerate recidive, a quel punto la prostituta veniva “convocata” da una speciale “commissione” composta dal “consiglio di amministrazione dell casa” di cui facevano parte i rappresentanti, della forza pubblica territoriale (di solito il comandante dei vigili, o il comandante della caserma dei carabinieri in loco, se c’era) quelli della pubblica amministrazione, a cui faceva capo la casa di tolleranza (nella persona del sindaco all’epoca podestà, o il prefetto) il monsignore rappresentante della Curia (l’autorità morale il cui VOTO VALEVA IL DOPPIO delle altre autorità) e il proprietario (che non aveva diritto ne di veto, e di voto, ma presenziava come persona “informata delle decisioni prese”) va ricordato che la figura del “proprietario” fu fortemente ridimensionata, doveva compiere atto formale di sottomissione al Prefetto, rinunciando a qualsiasi diritto di godimento della proprietà e dell’amministrazione dell’intera attività che vi operava, in cambio di un congruo e vantaggiosissimo affitto, proporzionale alla “categoria” della casa e della città dove operava, nonché del giro d’affari….
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