“La vendetta dello scorpione”, un racconto di Alberto Zanini (dal blog ‘I Gufi Narranti’)

Prologo

Il sole invernale non riusciva a scaldare l’aria frizzante del mattino. Nella grande piazza una donna si aggirava fra i banchi del mercato con calma, fermandosi ogni tanto a guardare la merce esposta.

E’ lei, sono sicuro che è lei

Come fai a saperlo?”

Ti dico che è lei, quando le siamo passati vicino, ho sentito una sensazione di disagio”

La ragazza, continuava a fissare la donna che si era fermata davanti ad un banco e discuteva con il venditore.

E’ una occasione unica trovare uno di loro da solo. Di solito girano in coppia>> continuò la ragazza

E cosa vorresti fare?” chiese l’uomo con la barba.

Dovremmo approfittarne

Nel frattempo la donna si diresse verso una stradina laterale. La ragazza e l’uomo con la barba la seguirono a debita distanza senza perderla di vista. Quando si trovarono in una via, piccola e deserta, la coppia si avvicinò con discrezione, la ragazza superò la donna e pochi metri dopo fingendo un malore si accasciò a terra.

La donna si chinò verso la ragazza chiedendole cosa fosse successo, questa iniziò a fissarla e le pupille divennero verticali ed ellittiche e anche il viso si trasformò in una testa di serpente.

Fu l’ultima cosa che la donna vide perché, sebbene percepisse il pericolo, non fece in tempo a reagire. L’uomo con la barba, che si era avvicinato silenziosamente, con una corta spada le recise di netto la testa che cadde con un suono secco, accompagnata da un violento zampillo di sangue. Il corpo della donna, mentre si afflosciava a terra, si trasformò in centinaia di piccoli scorpioni che, come impazziti, presero tutte le direzioni disperdendosi nella via.

Qualche giorno dopo

La città, cinta da alte mura, era avvolta da una densa nebbia che attutiva i pochi rumori della sera. Una grande piazza sorgeva su un promontorio e al centro svettava l’alta Rocca Eburnea.

Quattro vie tortuose e strette, corrispondenti ai punti cardinali, scendevano verso le porte della città.

Quella notte due ombre scure si spostarono reggendo fiaccole tremolanti. Giunti nei pressi della porta sud un sommesso fischio si perse nel silenzio. Dal corpo di guardia uscì un militare tarchiato e con un ventre prominente, che caracollando andò incontro alle due figure con il mantello.

“Maestro…”

Silenzio Prando, niente nomi” disse la voce da sotto il cappuccio, dimostrando di conoscerlo.

“Mi scusi” rispose questo con aria contrita.

Apri il portone” ordinò l’uomo, con voce bassa e perentoria.

La guardia aveva gli occhi perennemente in movimento, lo sguardo sfuggente e il naso bitorzoluto e senza rispondere rientrò nel corpo di guardia, uscendone un attimo dopo in compagnia di un giovane militare allampanato dallo sguardo perso e addormentato, che a fatica fece scorrere un lungo chiavistello arrugginito che con stridore si spostò all’interno degli anelli fissati sui battenti. La porta si aprì rivelando due sagome che silenziosamente varcarono la soglia e si accostarono agli altri due incappucciati. L’uomo, che aveva intimato di aprire, lanciò una moneta verso il militare, che con un ghigno scoprì la bocca rivelando i denti guasti e neri, il quale la raccolse al volo facendola sparire in una tasca.

La campana batteva tre rintocchi quando le quattro sagome scure imboccarono la stretta strada che saliva verso la piazza, infrangendo il silenzio della notte con lo scalpiccio dei loro passi.

Il militare dopo aver guardato a destra e a sinistra rientrò nel corpo di guardia.

Da una porta socchiusa della via apparve, nel buio, una mano che riversò il contenuto di un secchio sulla via. Piscio ed escrementi ammorbarono ulteriormente l’aria già fetida.

Io e Rebecca, appena ricevuto il tuo messaggio ci siamo messi in cammino, ma non sappiamo il motivo di tutta questa urgenza“, mormorò Folco

Sveva è morta in un agguato e Orlando ha bisogno di una nuova compagna“, rispose Ranieri che all’improvviso si fermò, con tutti i sensi all’erta, subito imitato dagli altri. Nel silenzio alzò lentamente una mano, per avvertire di fare attenzione, e si mise a scrutare il buio cercando di percepire ogni più piccolo rumore. L’aria era immota e il tempo sembrava essersi cristallizzato. Il gruppo percepì un leggerissimo fruscio, dalla spessa nebbia apparve qualcosa che strisciava sibilando. Subito dietro ne apparvero altri due. Erano tre grossi serpenti che avanzavano sinuosamente facendo saettare la lingua biforcuta. Senza indugio, presagendo il pericolo, Tessa, si tolse il mantello, subito imitata da Ranieri, si piegò in avanti poggiando le mani a terra emettendo un sommesso rumore stridente. La testa si coprì immediatamente di uno strato chitinoso che andò a formare il carapace, la mutazione continuò con l’addome e le 8 zampe. Nell’estremità inferiore del corpo apparve una coda che crebbe rapidamente in cinque segmenti, terminando con un pungiglione che sferzava l’aria minaccioso. I tre grossi serpenti, non aspettandosi una reazione così immediata si fermarono indecisi. La mutazione conclusa rivelò due enormi scorpioni che si avventarono sui serpenti e con movimenti fluidi e veloci vibrarono dei colpi di coda in rapida successione, i pungiglioni penetrarono nei corpi dei rettili che rimasero paralizzati, mentre il terzo scappò perdendosi nel buio della notte.

Credo che ci stessero aspettando” disse Folco.

Tessa e Ranieri ripresero le loro sembianze ed il gruppo continuò, con cautela finché non giunse davanti ad un portone mentre dal buio emersero altre due figure incappucciate.

Ecco Orlando” disse Ranieri indicando le ombre che si avvicinavano, mentre con una strana chiave di ottone apriva il portone rivelando un cortile. Il gruppo si perse nel buio, appena rischiarato dalla fiaccola, dell’interno del palazzo.

Un pavimento a mosaico e lo scalone di marmo erano la testimonianza della ricchezza del proprietario. Al centro sorgeva un grande pozzo circolare illuminato da candele disposte lungo il bordo. Salirono fino al piano superiore dove entrarono direttamente in un salone illuminato da torce appese ai muri. Alcune porte chiuse conducevano al resto dell’abitazione.

Svelarono i loro volti togliendosi i cappucci, sganciarono le fibule che tenevano chiusi i mantelli che appoggiarono sul tavolo al centro della stanza.

Questa è Bianca” disse Orlando indicando la donna che lo accompagnava.

Le hai spiegato in cosa consiste la cerimonia?” chiese Folco

So tutto e sono d’accordo” rispose Bianca

Ranieri dispose delle candele attorno ad un grande tappeto e quindi le accese.

“Spogliati completamente”

Bianca si tolse la pelliccia smanicata, sciolse la cintura di lino che le cingeva la vita, si sfilò la colorata camicia aderente e la gonna a pieghe, stretta da una fascia sotto il seno, si tolse le scarpe basse di cuoio e quindi fece scivolare le calze, rimanendo completamente nuda.

Da un mobile, Ranieri, prese due scatoline di legno e un’ampolla di vetro contenente un liquido ambrato. Aprì la scatola più piccola, contenente delle palline scure e morbide, ne prese una e la diede a Bianca. “Mastica lentamente” le disse, poi prese l’ampolla, tolse il tappino e la porse ancora alla ragazza “Bevi e sdraiati sul tappeto

Attesero qualche minuto che la droga facesse effetto, Bianca si rese conto di perdere il controllo dei riflessi che rallentarono visibilmente, sentì la temperatura corporea aumentare e si sentì invadere da una strana euforia che accompagnava momenti di veglia a quelli di incoscienza. Ranieri aprì l’altra scatolina rivelando il suo contenuto. Uno scorpione si muoveva al suo interno.

Attu Croli Reto Scata” pronunciò l’uomo lentamente scandendo bene le parole mentre prendeva lo scorpione per la coda e lo consegnava a Bianca. La donna lo prese e lo avvicinò al viso. La stanza era avvolta dal silenzio e il fuoco delle lanterne alle pareti tremolava leggermente proiettando luci sul corpo della donna e sul viso dei presenti. Bianca tenendolo per la coda aprì la bocca e vi introdusse la testa , le chele e parte dell’addome dello scorpione. Chiuse la bocca e con i denti frantumò il carapace. Masticò e deglutì il boccone, quindi ingoiò il resto dell’animale. Poco dopo fu scossa da violente convulsioni, inarcò la schiena mentre la testa ruotava a destra e a sinistra con violenza.

Amrak Sseto Tucca Proipo dissero all’unisono gli astanti che assistevano in trance. All’improvviso la ragazza rimase immobile, la respirazione si fermò per qualche secondo finché ebbe un violento conato di vomito, aprì la bocca ed espulse un grosso grumo nero di saliva viscosa e piccoli pezzi di scorpione. Bianca emerse dagli abissi neri e cupi in cui era sprofondata. Parte dei disegni degli animali e dei nudi femminili del tappeto erano impiastricciati di vomito. La ragazza, visibilmente provata, cercò di rimettersi in piedi aiutata da Orlando che, mentre la sosteneva con il braccio, le disse: “Adesso fai parte della fratellanza” Bianca fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti e un pallido sorriso comparve sul suo volto.

“Orlando adesso ha una nuova compagna” disse Ranieri guardando tutti negli occhi. Erano tre uomini e tre donne, diversi fisicamente, ma con un unico sguardo; vuoto, freddo, predatorio. L’uomo, che sembrava essere il capo riconosciuto da tutti, continuò: “Anche se non esiste un culto ufficiale e tutti sono tollerati ed accettati, dobbiamo stare molto attenti e non attirare assolutamente l’attenzione. Conto sulla vostra discrezione, ne va della sicurezza di tutta la nostra fratellanza. Abbiamo altri fratelli in città. Alcuni in posti strategici. Avete visto nel corpo di guardia della porta sud che abbiamo Prando che controlla. E’ uno fidato” Ranieri fece un attimo di pausa, quindi proseguì: “Ormai è molto tardi, per stanotte rimarremo tutti a dormire qui, le stanze non mancano per fortuna, domani mattina presto Folco e Rebecca torneranno da dove sono venuti mentre Orlando farà vedere a Bianca la sua nuova casa”

Al mattino la nebbia notturna si era dissolta, come neve al sole, e le luci del giorno svegliarono la città.

Sei persone uscirono con discrezione dal palazzo e dopo essersi salutati, due si incamminarono verso la porta sud, mentre gli altri presero la direzione della piazza principale dove sorgeva la Rocca.

Lungo la strada incontrarono un uomo con una tunica lunga fino ai piedi, lacera e sudicia, che gesticolando ripeteva: “Sono ovunque, moriremo tutti, nessuno ci potrà salvare”. L’uomo con gli occhi spiritati aveva una barba lunga e incolta sulla quale si posavano gli schizzi di saliva. Alcune persone lo guardavano con curiosità, mentre altre lo scansavano infastidite. Una ragazza con i capelli scuri camminava lungo il muro e guardava di sottecchi l’uomo con la barba, che si fermò fissando intensamente Ranieri. I quattro continuarono il cammino verso la Rocca Eburnea senza fermarsi, mentre il predicatore si girò e continuò a guardarli intensamente. Quindi proseguì nel cammino. Anche la ragazza prese la stessa direzione.

Qualche giorno dopo Ranieri, Tessa, Orlando e Bianca dopo aver varcato, in uscita, la porta est seguirono una stradina di campagna e dopo un paio di chilometri si trovarono di fronte al mare. Sugli scogli sorgeva un faro che sembrava abbandonato.

“Un nostro “fratello” ha saputo che Sveva è stata uccisa colpita alle spalle da uno con la barba. Il testimone ha visto anche una donna che si stava trasformando in qualcosa di orribile, ma non ha saputo raccontare altro perché era molto spaventato” raccontò Orlando

“Un uomo con la barba?” ripeté Ranieri pensieroso. Tutti ebbero lo stesso pensiero. Il predicatore con la barba incontrato qualche giorno prima.

“Non possiamo essere sicuri che si tratti della stessa persona” sostenne Tessa “ma quell’uomo mi ha procurato strane sensazioni”

“Anche a me” rincarò Ranieri “Brutte sensazioni”

Tutti e quattro fissavano, in silenzio, l’orizzonte, mentre la risacca del mare accompagnava i loro pensieri.

“Non sappiamo chi sia stato ma è chiaro che questo assassinio infrange la pace che risaliva alla notte dei tempi” disse Ranieri

“Era un tacito accordo che conveniva a tutti, finché le fratellanze restavano lontane le une dalle altre” rimarcò Orlando “Non ci siamo accorti che ‘Loro’ sono tra di noi e adesso hanno svelato le vere intenzioni. Ho mandato Sveva da sola in giro. E’ una leggerezza della quale non mi perdonerò mai, ma se è la guerra che vogliono, io sono pronto” concluse Orlando

“Vendicheremo Sveva” sentenziò Ranieri

“Vendicheremo Sveva” gridarono gli altri con lo sguardo rivolto verso il mare, che rispose mugghiando rumorosamente.

Una settimana dopo l’uomo con la barba e una ragazza furono avvistati, vicino alla locanda “Il corvo nero”.

I quattro decisero di controllare la zona accuratamente, e due giorni dopo Tessa individuò la coppia. Per non destare sospetti mantenne il proprio passo e quando fu abbastanza vicina agganciò il loro sguardo accorgendosi della trasformazione delle loro pupille.

Allarmati, l’uomo con la barba e la ragazza, si fermarono visibilmente turbati.

“E’ una di loro” disse la ragazza

“Si, hai ragione Savia, ed è da sola”

“Sarà facile come l’altra volta Giacomo”

I due incominciarono a seguire Tessa, che, con calma, proseguì nel suo cammino prendendo la direzione della porta nord. Di sottecchi si accertò di essere seguita e dopo essere uscita dalla città si diresse, aumentando sensibilmente il passo, verso il faro.

Quando la strada divenne deserta Giacomo e Savia, che attendevano il momento ideale per attaccare ridussero la distanza da Tessa, che senza voltarsi continuava spedita verso la sua meta. Intanto, la coppia non si accorse che un uomo, con il mantello scuro, li seguiva a sua volta.

Il faro apparve come un’ombra nel buio della sera e Tessa prese risoluta la sua direzione e abbandonata ogni riserva, si mise a correre subito imitata dalla coppia. La donna in fuga fece gli ultimi metri stremata e boccheggiando, mentre gli inseguitori si avvicinavano pericolosamente. Tessa giunse davanti al faro, con mano tremante aprì la porta e velocemente entrò.

Giacomo e Savia, quando videro la donna entrare nel faro, si fermarono affannati per la corsa cercando di recuperare le energie.

“Potrebbe essere una trappola” disse l’uomo

“Faccio il giro per controllare che non ci siano altre uscite” rispose Savia

Si sentiva solo l’infrangersi delle onde sugli scogli, e quando la ragazza completò il giro del faro decisero di entrare.

La bassa temperatura rallentava vistosamente la mutazione dei due corpi. Abbassarono la maniglia della porta, e dopo averla aperta lentamente varcarono la soglia. Il buio era quasi assoluto, solo contro una parete si vedeva un pallido alone rettangolare di luce proveniente dal finestrone in alto. Si trovarono in un grande ambiente circolare con alla destra una scala a chiocciola che conduceva al faro.

Un campanello di allarme continuava a squillare nella testa di Giacomo che si rese conto di essere stato uno sprovveduto. Era caduto in una trappola. Capiva di avere di fronte dei predatori notturni abituati a cacciare con l’oscurità.

Il buio era quasi totale, Giacomo percepiva delle presenze, quando si sentì sollevare da terra. Protese le mani e toccò una dura corazza che si era insinuata sotto le ascelle. Erano le chele di un enorme scorpione, che mosse veloce la coda. Un fruscio inquietante annunciò a Giacomo l’arrivo di una violenta frustata che lo colpì in viso e subito dopo sentì una fitta dolorosa. Il pungiglione era entrato in profondità rilasciando il veleno che lo paralizzò.

Savia che era dietro percepì il pericolo, si buttò per terra e rotolando riuscì ad evitare l’attacco degli scorpioni. Anche lei non era riuscita a mutare aspetto per il freddo, però muovendo la lingua rapidamente cercava di percepire l’odore del nemico.

Intanto l’uomo immobilizzato era attaccato dallo scorpione. La pelle e la carne del collo cedettero alla forte morsa delle chele. Nel buio la ragazza sentì lo sgradevole rumore di carne lacerata e l’uomo perse il controllo degli sfinteri. La testa spiccò dal busto di Giacomo e schizzi di sangue piovvero addosso a Savia. La ragazza capì che in quello spazio chiuso ed angusto non aveva scampo, si alzò in piedi e corse verso la porta, che riusciva ad intravvedere nel buio, e dopo averla spalancata si precipitò all’esterno. La luna proiettava una striscia luminosa sul mare che s’infrangeva placido sugli scogli.

Savia si mise a correre verso la città ma dopo pochi metri si trovò davanti l’uomo con il mantello che le sbarrava la strada verso la salvezza. Maledisse il momento quando, con Giacomo, decisero di seguire la donna, ma ormai sapeva che era tardi recriminare. Si girò verso la costruzione che si stagliava nel cielo notturno. Vide altre tre persone che le venivano incontro. Sentì l’alito caldo di uno sul collo e una sottile lama che s’infilava tra le sue scapole dall’alto verso il basso fino a raggiungere il cuore. Cadde in avanti e quando la faccia toccò terra lei non c’era più.

Vendetta era stata chiamata e vendetta era arrivata.

I quattro guardarono il corpo della ragazza steso per terra, quando improvvisamente si senti uno sparo. Si voltarono verso il rumore. Tutti tranne Ranieri che divenne terreo e lentamente si mise una mano sul torace. L’uomo volse lo sguardo verso la sua compagna, consapevole di farlo per l’ultima volta e cadde in ginocchio. Quindi venne il buio. Quando il corpo toccò terra si trasformò in centinaia di piccoli scorpioni che fuggirono in tutte le direzioni.

Si senti un secondo sparo.

Prando, con una pistola fumante in mano, guardava il corpo inanimato a terra della giovane guardia allampanata che stringeva un fucile e guardava il cielo con gli occhi velati.

Tessa, Orlando e Bianca quando passarono accanto al cadavere del ragazzo videro le sue pupille ellittiche in verticale.

Alberto Zanini

Racconto ” La vendetta dello scorpione ” scritto da Alberto Zanini e pubblicato nella raccolta di racconti “I mostri non mangiano seitan” Sensoinverso Edizioni Luce nera 2018

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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