“La donna di Arsél”, romanzo di Antonia Pozzi, edizioni ‘Il Ponte Vecchio’

Il diritto della ricerca delle origini. Antonia, protagonista del romanzo, nasce nel 1961, frutto di un atto sostanzialmente di violenza sessuale subito dalla madre, Terry. Epoche già lontanissime dai nostri giorni e, in quegli anni ’60, in ogni caso la ‘svergognata’ era comunque la donna, soprattutto se figlia di contadini o comunque di una famiglia povera. Per i ricchi, come scopriremo, la soluzione si trova sempre e comunque ai poveri non resta che ammiccare, tollerare, comprendere, tener per sè gli eventuali pensieri di biasimo che invece diventano sentenze pubblicamente dichiarate senza appello o riabilitazione alcuna. Quando invece, come si diceva, i fatti avvengono tra poveri contadini per il “frutto” che talvolta ne consegue si aprivano i portoni, le scalinate, i cameroni del brefotrofio, l’istituto destinato ai figli illegittimi, abbandonati o a rischio abbandono. Antonia tutto sommato è fortunata, il soggiorno nell’istituto è di breve durata: ancor prima di accendere la seconda candelina viene accolta da una coppia di lavoratori che non può generare figli. Luigi e Maria che prendono il posto del padre ignoto e della madre che ha scelto l’anonimato. Così la bambina cresce, adottata, nella tranquillità della bella Rimini e diventa un fantasma impalpabile, irraggiungibile per il suo passato che resta celato in polverose cartelle dimenticate in altrettanto polverosi archivi, piene di documenti e fogli con numeri e sigle ma nessun nome (se non il suo), nessuna possibilità di essere rintracciata con la sua nuova famiglia o di poter rintracciare a sua volta quel passato sfumato nel nulla. Solo a 8 anni Luigi e Maria riveleranno che esiste uno sconosciuto passato diverso, costretti in questo dalle chiacchiere della gente. I vicini che parlano in casa loro, tra di loro, negli incontri tra comari di quella bambina figlia di nessuno, semplicemente adottata da quei coniugi incapaci di avere figli loro. Chiacchiere, maldicenze, invidie, gelosie di questa nostra umanità varia. Che gli altri bambini ascoltano e, alla prima difficoltà, riversano su Antonia compagna di scuola. Perché si sa, i bambini non hanno pietà e riversano sui ‘diversi’ le loro paure, le loro debolezze, la lora affermazione, di fronte a chi scoprono debole, d’essere invece loro normali e quindi superiori. Così, drammaticamente, Antonia scopre che esistono un’altra madre, un’altro padre, quelli veri, quelli sconosciuti, quelli che non l’hanno voluta. Di fatto da questo punto, conclusa la premessa introduttiva, inizia il romanzo, la ricerca, l’affermazione, di fronte a tantissime porte chiuse, del diritto alla scoperta del passato per innanzitutto trovare e capire se stessi. 206 pagine che, a parte qualche marginale refuso tipografico, sanno diventare avvincenti, appassionanti, incalzanti. Una storia suddivisa in 37 capitoli con l’incapacità di interrompere la lettura, passando attraverso storie che in quell’epoca erano se non normali quantomeno diffuse. Come la scoperta, lassù tra le piccole parrocchie sperse nell’appennino, che non solo i giovani virgulti contadini erano uomini ed amavano l’amore ma spesso anche i tanti ragazzi costretti in seminario dalle famiglie che non potevano garantire loro un futuro restavano uomini troppo soli anche dopo aver indossato la veste nera (del resto meglio uomini che con i problemi di pedofilia che ci presentano le cronache di oggi). Insomma, un romanzo avvincente, che personalmente ho letteralmente divorato nell’arco d’un sol giorno, incapace di negarmi al susseguirsi dei capitoli, delle pagine, dell’evolversi dei fatti narrati, del ritmo e della cadenza che l’autrice riesce a trasmettere.

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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