“Il sistema economico globalizzato trasforma la democrazia da potere del popolo a dittatura monocratica”, intervento di Carmelo Sciascia

Furio Arte, Il potere del soldi (particolare, olio su tela)

L’Italia ha avuto periodi storici in cui è stata indiscutibilmente una potenza, ha avuto una egemonia mondiale in settori diversi, ricordiamo tutti: Roma e l’Impero romano, per la potenza militare, l’amministrazione, i trasporti, ed il Rinascimento per le arti, dalla pittura all’architettura, dalla scultura alla letteratura tout court. A questi due periodi lo storico Fernand Braudel ne aggiunge un terzo, quello che definisce come Il secondo Rinascimento che giunge fino a metà del XVII secolo. Sarei tentato di aggiungerne un quarto, il periodo del nostro Novecento che va dalla fine della seconda guerra mondiale a tutti gli anni settanta. Sì, gli anni della ricostruzione fino agli anni del boom economico, quell’Italia oggi descritta come “italietta”, che poi così piccola ed angusta, come lo si vuole far credere, non lo era affatto. L’Italia si era data un’ottima Costituzione ed aveva una sua moneta la Lira, la cosiddetta “liretta”, che priva di valore e significato non lo era affatto se è servita, in quegli anni, come un ottimo strumento di politica economica, per favorire crescita ed occupazione. Quando la finanza era al servizio della politica e non viceversa, come è avvenuto con la moneta unica europea.

La storia d’Italia è stata una storia di divisioni e di invasioni, fin dai tempi di Carlo VIII, che chiamato da Lodovico il Moro nel 1494, attraversò la penisola senza colpo ferire, costellando il suo avanzare con razzie e devastazioni ad opera del suo esercito e dei mercenari elvetici che ne costituivano una buona parte.

Da allora sono trascorsi più di cinque secoli ed il tempo sembra essersi fermato, ci troviamo di nuovo soggiogati da un esercito straniero, che non si presenta con le armi in mano ma che usa i sofisticati sistemi economici, finanziari soprattutto, per governare l’economia e sottomettere la politica, nella sua più nobile accezione.

Perché la democrazia, come ci spiega bene con la sua  ”Critica matematica della ragione politica” (Rizzoli – 2018) Piergiorgio Odifreddi, oggi semplicemente non esiste! Formalmente siamo ancora una democrazia parlamentare, nella realtà no. Nella concezione comune si definisce Democrazia quel sistema politico che si basa sui due termini costitutivi la sua etimologia: “kratos” governo e “demos” popolo. Quindi il governo del popolo. Ma vi è un’altra interpretazione che inverte il concetto di popolo, trasformandolo da soggetto attivo in passivo: da soggetto che governa a popolo che deve essere governato. Un popolo da governare quindi, che essendo governato, viene conseguentemente privato della sua podestà.

Odifreddi ci ricorda come Il rigore matematico del premio Nobel Kenneth Arrow dimostra l’impossibilità di potere avere un sistema di votazione equo, qualsiasi sistema di voto può essere manipolato o viceversa il solo sistema di voto non manipolabile è la dittatura. Prendendo le mosse da Arrow, anche un altro premio Nobel Amartya Kumar Sen dimostra che, c’è un conflitto insanabile tra libertà e diritti, possono crearsi delle situazioni in cui solo un individuo può avere garanzia dei suoi diritti assoluti, il conflitto tra democrazia e diritti quindi può risolversi nella figura di un dittatore, un solo individuo che può averli per tutti. Lo stesso Sen ha detto: “L’euro è stata un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata”. Ecco quindi come la democrazia si è trasformata: da potere del popolo a dittatura monocratica che anziché vestire i panni di un singolo personaggio veste i panni di un sistema economico globalizzato.

La democrazia non esiste soprattutto quando i poteri dello stato sono sottomessi alla finanza. La separazione Banca d’Italia e Tesoro, primi anni ‘80 era stato l’inizio di una impostazione di politica economica che permetteva un trasferimento di sovranità dagli Stati ai mercati.

In Italia c’è un allarme, lanciato da più parti e non da adesso, che teorizza l’insostenibilità della moneta comune, dell’euro. O meglio di una scelta che ci è stata imposta come strumento per sottometterci economicamente e conseguentemente politicamente.  La storia di Carlo VIII continua, solo che questa volta a chiamare lo straniero non è stato un principe lombardo ma tutta una classe politica, per suo stesso dire, incapace di governare. Che la classe politica italiana sia incapace di governare ce ne dà prova adesso come ce ne ha dato prova, in modo continuativo e sostanziale, negli ultimi decenni. Basta ricordare il cosiddetto Governo tecnico di Mario Monti, un golpe applaudito dai più, passato alla storia oggi per essere stato il più nefasto della storia dell’Italia contemporanea. Ma il problema oggi che più ci interessa è sottolineare come questa incertezza ed incapacità di governare, possa trascinare con sé alla deriva tutta la civiltà e la cultura italiana. Possa, in altri termini, rappresentare la fine di una civiltà, fenomeno che qualcuno indica con l’espressione di “genocidio culturale” concetto, non nuovo, usato già da Pasolini nel 1974. O suicido, come Don Giussani ebbe a scrivere sulla “scomparsa del senso di missione che ogni civiltà porta con sé. Come se l’occidente sentisse di aver esaurito il suo ciclo bimillenario”.

Diversi studi mettono in relazione la fine dell’impero romano con la fine della civiltà occidentale. Furono gli stessi soldati romani che aiutarono i Goti ad attraversare il limes, su comando imperiale. Le inefficienze e la corruzione dei funzionari fecero il resto, fino alla sconfitta nei pressi di Adrianopoli dove lo stesso imperatore Flavio Giulio Valente venne ucciso. Era il 9 agosto del 378 d.c. questo ci dice la storia ed il giornalista Antonio Socci lo sottolinea nella sua ultima opera: “Traditi sottomessi invasi” (Rizzoli – 2018).

Più canonico Silvano Messina che nel suo libro “L’ultimo canto del cigno” (Aletti Editore – 2018) pone la classica data storica del 476 come fine dell’impero romano. Di fatto sono bastati comunque non più di alcuni decenni per fare scomparire un impero, quello romano che dominava tutto il mondo civilizzato. In questa fenomenologia, si intrecciano fattori esterni ed interni prosegue il Nostro nel descrivere l’Agonia della Civiltà Occidentale, come sottotitola il libro. Fattori esterni: cambiamenti climatici ed idrogeologici, flussi migratori; fattori interni: la politica e le istituzioni, l’economia, l’evoluzione sociale e la legalità. La nostra storia contemporanea è quindi un dejà vu, le cause ci sono tutte, non ci rimarrà che aspettare la fine? Secondo la lingua accadica dei popoli mesopotamici l’Italia avrebbe lo stesso significato originario d’Europa: la terra dove tramonta il sole, l’occidente! La fine dell’Italia rappresenterebbe la logica fine di tutto l’occidente.

Già Spengler, aveva descritto la fine della civiltà occidentale, negli anni venti, come un periodo culturalmente arido e politicamente fragile. Un periodo dominato dal denaro, un periodo senza speranza futura. Ed oggi che siamo dominati dalla Finanza? Come abbandonare la drammatica ed angosciante postura, che tutti noi abbiamo assunto, dell’uomo urlante di Munch? Oppure dobbiamo credere che l’uomo sia sempre prigioniero del suo tempo, e che la fine dell’Italia coincida con la fine dell’Europa e dell’intero Occidente, per noi oggi, come lo è stato per i romani?  Unica risposta possibile: la ricerca di nuovi e credibili paradigmi.

 

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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