Un occidentale single incallito che rifugge da rapporti stabili e naturalmente da impegni limitanti l’individualità (come una paternità) e una ormai anziana signora nella Cina proletaria avviata verso un capitalismo che garantisca qualcosa di più di un piatto di riso ad ognuno delle migliaia di figli sparsi in un territorio vastissimo. Lui negli alberghi di lusso per trattare affari e introdurre prodotti occidentali nel vastissimo mercato emergente. Lei, nello stesso albergo, addetta alle pulizie nel bagno riservato agli uomini. E per lui ogni occasione diventa buona per svicolarsi dai noiosi colloqui d’affari e scappare in quei bagni per parlare con quella donna che racconta dei suoi dieci figli, ognuno speciale, ognuno straordinario e tutti riusciti nella vita anche se lontano dalla madre, ognuno rappresentante un simbolismo filosofico. Son tutte balle, menzogne, invenzioni, pensa lui: come potrebbe aver generato, la signora Ming, dieci figli in una società che, nel nome del controllo demografico, ne autorizza uno al massimo? Eppure, citando spesso Confucio, la signora Ming apre prospettive nuove, un diverso approccio alla vita, un modo per sfuggire alle imposizioni calate dall’alto e, alla fine, in bilico tra realtà e fantasie motivate e indirizzate, il nostro occidentale avrà un approccio diverso con la vita possibile, ricaverà da quella donna un insegnamento alla fine utile per sè e per chi legge questo racconto di Schmitt in bilico tra prosa e poesia. Fra il sogno e la realtà sta il giusto mezzo e la cruda verità fa rimpiangere l’incertezza: ognuno tragga da questa massima il significato che più gli si addice. Una lettura insomma da non perdere, un’occasione per riflettere sul senso della vita, sul ruolo dei sogni e di come i sogni possano diventare verità, di come andare d’un passo oltre il confine che divide sogno e realtà per scoprire che si tratta di un possibile esistere nientaffatto separato.