“Grassa risata dal banco dei giocattoli all’autogrill”, racconto d’ordinari orrori di Claudio Arzani





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Neve Piani Peso, olio su tela, di Tullio Crali

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Una breve sosta alla stazione di servizio di Stradella. Fino a quel punto era andata abbastanza bene. Un po’ di foschia, campi e colline imbiancate a perdita d’occhio. Ma lì, sull’autostrada, i mezzi antineve avevano lavorato bene, si viaggiava sull’asfalto apparentemente pulito. Salvo qualche chiazza di neve ghiacciata nei brevi tratti all’ombra, ma bastava una buona dose di prudenza. Certo, come consigliavano alla radio, meglio sarebbe stato restarsene a casa. Oppure montare gomme termiche. Ma non aveva avuto scelta. Dal reparto della clinica avevano telefonato la sera precedente: in mattinata la mamma sarebbe stata dimessa. Il fatto che da ore nevicasse e che lui abitasse a 103 chilometri di distanza poco importava. Al reparto interessava il posto letto, il resto erano problemi suoi. Non aveva simpatia, per quella casa di cura privata abituata a dar la caccia a pazienti con residenza in una regione diversa: ricoverarli significava poter contare su contributi pubblici altrimenti destinati altrove. Per questo aveva molti dubbi sulla necessità del ricovero della mamma disposto per eseguire un esame, una coronarografia, di particolare delicatezza. Non che fosse medico o potesse vantare particolari competenze. Soltanto gli pareva una decisione non da poco, il sottoporre ad un esame come quello una signora con 83 inverni alle spalle. Un po’ sfruttare le scarse capacità di analisi critica di una vecchietta con un’unica colpa: aver fiducia di quel medico che visitava privatamente a suon di bigliettoni. Ma la mamma è la mamma. Una testa dura. Difficile da far ragionare. Specie quando convinta delle sue scelte basate sul sentito dire e il passa parola popolare era tutto dalla parte delle capacità professionali di quel medico. Impossibile allora farla ragionare, convincerla a riflettere su quel ricovero, sull’opportunità di sentire altre campane. Troppo spaventata. Facilissimo, del resto, spaventarla, evidenziare la necessità del ricovero nella clinica lontana, tacendo sul fatto che lo stesso esame potrebbe essere fatto nell’ospedale cittadino. Business. Laddove salute (altrui) e interessi economici  del professionista medico e delle strutture sanitarie in generale si sovrappongono, si confondono, lasciano ampio spazio a dubbi e perplessità. Esame invasivo, prorompente ingresso di corpo estraneo nella vena femorale, alla ricerca di occlusioni. Se l’immaginava, la scena. Camici bianchi che con grandi sorrisi avevano sottoposto alla mamma un foglio informativo. A lei, nata e cresciuta in campagna! Sorrise, affettuosamente. Ricordando l’ultimo appunto lasciato sul tavolino del telefono: “la chiave del garage cela papà”. Informativa sui rischi di un esame invasivo. Consenso informato. Responsabilità scaricate dal personale sanitario. Rischi consapevolmente condivisi dalla paziente. Ma non fatemi ridere! Se l’immaginava, la scena. Qui, signora, deve firmare qui, le aveva detto un camice bianco con le labbra a mostrare due ammirevoli arcate di denti splendenti e scintillanti. Cosa poteva fare, la mamma? Un diploma di quinta elementare strappato coi denti, aveva firmato. Così le avevano detto, così aveva fatto. E da quel momento l’ufficio amministrativo della clinica poteva contare su un consistente versamento economico da parte della regione di residenza della mamma. Mobilità passiva, il termine tecnico. Ma inutile farsi il sangue marcio. Un caso come tanti, uno dei tanti, niente di veramente trascendentale o scandaloso. In fondo tutto era andato bene, in fondo l’unico inconveniente era quel viaggio tra la neve. Che comunque ormai da qualche ora non cadeva più. Attenzione, dunque, ma niente di più. Prudenza, moderando la velocità nei tratti che potevano rappresentare qualche rischio in più. Come avvertivano i cartelli luminosi che ogni tanto spuntavano ai bordi della strada. Ringraziò la barista che gli aveva servito un buon caffè caldo macchiato, ormai 50 chilometri erano alle spalle, ne restavano altrettanti. Si avviò verso l’uscita del grill. Seguendo il percorso obbligato tra i banchi posti in funzione di tentazione all’acquisto. Sussultò, nel sentire, superata la bacheca dei cd musicali, una grassa risata provenire proprio dagli scaffali allineati in buon ordine. Si fermò, incuriosito. Alla terza risata riuscì ad identificare l’autore. In una cesta, tra quattro pupazzi di diavoli rossi di peluche, una specie di maialino rosa, un grugno di discutibile bellezza e per questo istintivamente naturalmente accattivante, il pelo macchiato e in disordine, ad intervalli regolari se la rideva di gusto. Ironicamente. Forse con una punta di sadismo. Un maialetto satanello.  Ma coinvolgeva. La tensione per il fatto della mamma. La sanità con i medici a badar molto alla cassetta e non si sa quanto alla salute altrui. La strada da divorare, la neve, il ghiaccio. La risata del maiale malfatto, dicendola come di moda, diversamente bello, stemperavano la tensione. Sì, probabilmente sarebbe piaciuto anche alla mamma. Un bel regalo, per la sua vecchia. Detto fatto, ancora una volta l’addetto commerciale della rete degli autogrill l’aveva vinta. Un pupazzo altrimenti invendibile passava di mano, salutava i diavoli rossi di peluche, usciva dal mucchio del banco contestualmente all’uscita di un paio di banconote dal portafoglio dell’incauto viaggiatore di passaggio. Ridacchiò tra sé, risalendo in auto, per l’essere caduto nella trappola dell’addetto commerciale. Ma, ora, si sentiva rilassato. Rientrò sulla striscia d’asfalto autostradale in accelerazione, schiacciando con la mano destra il pulsante dell’autoradio. Living, loving, she’s just a woman, le note di un vecchio successo anni settanta della sua gioventù. Robert Plant, i Led Zeppelin. Come fu definita la loro musica? Il martello di Dio. Un istante. Spazio temporale infinitesimale. Il poliziotto, scendendo dall’auto, sentì una stretta allo stomaco, vedendo quel corpo steso sull’asfalto in una posizione improbabile. Il calzino d’un viola acceso, la scarpa finita chissà dove, come la testa. Sbalzato dall’auto ridotta ad un ammasso di rottami, travolta dal bisonte dell’asfalto, il camion che forse aveva frenato e, a quel punto, la chiazza di ghiaccio in agguato aveva colpito senza pietà. Una stretta allo stomaco ma era parte del mestiere, di scene terribili purtroppo ne aveva viste molte, in quattordici anni di onorato servizio di pattuglia e di vigilanza sulla striscia d’asfalto. Ma a tutto c’è un limite! Sentendo quella risata provenire dai rottami dell’auto distrutta. Forse un bambino, di certo sotto shock, chissà in quali condizioni, il poliziotto s’appoggiò al guard-rail, dando di stomaco. All’orrore c’è un limite, Dio buono!  Intanto in clinica la mamma, messa a sedere su una sedia dall’alba, quando le inservienti l’avevano invitata a lasciare il letto per poter cambiare le lenzuola, sempre più pallida, con due vistose ecchimosi al braccio sinistro e un gran mal di stomaco, con un filo di voce chiese l’ora alla compagna di camera. Le dieci e venti. Ondeggiò un istante. Quindi, lateralmente, cadde a peso morto dalla sedia. Forse un semplice svenimento, un malore di poco conto, una stanchezza legata anche alle lunghe ore di digiuno che dal giorno prima le avevano imposto i medici e le infermiere, negandole anche una semplice tazza di the. Una caduta di poco conto, nulla di grave. Se, cadendo, non avesse battuto la testa contro lo stipite appuntito dell’armadietto dove teneva la valigia chiusa con vestaglia, indumenti intimi, le ciabatte da camera. Istanti. In quel momento, il poliziotto si allontanava dal guard-rail, lo stomaco in rivolta, un gran sapore d’acidi e succhi gastrici in bocca. Istanti.  Il pupazzo del maiale, schiacciato tra il sedile e la lamiera del cofano penetrata nell’abitacolo dell’auto, smise di ridere. Semplicemente: batterie esaurite, da sostituire.

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Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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