Delitto Pasolini – Approfondimento di Alberto Zanini, 3^ parte (dal blog I gufi narranti)

Le puntate precedenti: la 1^ parte, la 2^ parte, l’intermezzo col libro di Pelosi

Il giornalista della Stampa, Furio Colombo, poche ore dopo il ritrovamento del cadavere, raccoglie le testimonianze di chi aveva passato la notte nelle baracche affacciate verso il campetto dell’idroscalo. Il muro di omertà viene rotto solamente da pochi. Alcuni hanno visto più persone massacrare Pasolini senza pietà. Mezz’ora di violenza senza che nessuno intervenisse.

Furio Colombo

Invece che urla di sdegno, di raccapriccio e di dolore, sull’efferato omicidio scende un nero velo di omertà.

Quando le macchine se ne vanno, i cani smettono di abbaiare e il silenzio scende improvviso, mentre il buio avvolge il povero corpo senza vita e rimane solo il forte vento a spazzare il campetto. Nelle baracche le tendine celano gli interni con gli astanti attoniti. Alcuni cercano di riprendere il sonno, altri sentono ancora rimbombare il disperato e inascoltato appello del poeta a sua madre.

Ancora poche ore e il clamore darà la stura ad una canea assordante.

Il triste destino del poeta che trova la morte nello stesso luogo dove andava spesso a giocare a pallone o a scrivere.

Gli avvocati Tommaso e Vincenzo Spaltro (che si sono offerti di difenderlo gratis vengono nominati da Pelosi al posto del difensore d’ufficio Piergiorgio Manca), i parenti e gli amici del poeta sostengono che Pasolini, un uomo forte fisicamente, non potesse essere stato picchiato selvaggiamente da un giovane ragazzo, solo e gracile e anche l’indagine della polizia viene giudicata sommaria ed insufficiente.

Più voci sostengono anche, che per consumare un frettoloso rapporto sessuale non occorresse fare tanti chilometri per raggiungere Ostia partendo dalla stazione Termini.

Un rapporto sessuale, tra l’altro, senza nessuna traccia di liquido seminale riscontrata, né sulla vittima né sul ragazzo.

L’Europeo e Oriana Fallaci conducono una inchiesta parallela. Ma le testimonianze raccolte dal settimanale non vengono ritenute attendibili.

omicidio
Pier Paolo Pasolini, Camilla Cederna e Oriana fallaci

Malgrado gli Spaltro facciano di tutto per far assolvere Pelosi dall’accusa di omicidio, qualcuno ritiene che la strategia difensiva non vada bene.

Franco Salomone, un giornalista del Tempo, iscritto alla P2 (tessera n° 1911), convince i genitori del ragazzo ad affidare la difesa all’avvocato Rocco Mangia, un principe del foro, garantendo che la parcella sarà pagata da qualcuno molto in alto.

L’onorario di 50 milioni in effetti venne pagata dalla DC, come lo stesso Mangia confidò anni dopo al collega Nino Marazzita.

Mangia, molto vicino alla Dc romana più conservatrice, all’epoca era un famoso avvocato anche per aver assunto la difesa dei tre neofascisti, Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira che, nel settembre del 1975, attirarono con l’inganno in una villa del Circeo Rosaria Lopez e Donatella Colasanti e dopo averle seviziate e violentate, Rosaria morì affogata nella vasca da bagno, mentre Donatella riuscì a sopravvivere solo fingendosi morta.

Il 10 novembre Pelosi revoca il mandato anche agli Spaltro e affida la sua difesa all’avvocato Rocco Mangia che nomina come consulenti: Franco Ferracuti, uomo dei servizi segreti e piduista (tessera n°2137) e il criminologo Aldo Semerari.

Sebbene il suo nome non risultasse nel famoso elenco trovato a Castiglion Fibocchi la sua appartenenza alla massoneria deviata è stata confermata da Licio Gelli in persona.

Il criminologo viene incaricato da Mangia di condurre una perizia psichiatrica nei confronti di Pelosi, per dimostrare l’ incapacità di intendere e volere del ragazzo.

L’avvocato Mangia cambia la strategia processuale dei suoi predecessori confermando la tesi della pubblica accusa che sostiene la piena responsabilità del ragazzo nell’omicidio, da solo e senza complici, di Pier Paolo Pasolini.

Semerari dopo un passato da comunista, con un bel salto mortale, diventa un fascista che gira con un cinturone delle SS e una svastica tatuata, nascosta dai vestiti.

Semerari ebbe a che fare con Pasolini nel 1962, quando gli fu richiesta una perizia psichiatrica dello scrittore in seguito ad una assurda denuncia di un barista che sosteneva di essere stato rapinato a mano armata da Pasolini. Il criminologo senza averlo mai visitato sostenne che, Pasolini, era “espressione di infermità mentale” ed era quindi una “persona socialmente pericolosa”, il tutto riconducibile al suo essere omosessuale.

Il criminologo coltiva i rapporti non solo con la destra eversiva, con la Banda della Magliana (che vorrebbe trasformare nel braccio armato della destra) e la Camorra di Cutolo.

Aldo Semerari

Ma quando, un giorno, decide di stringere accordi anche con la “Nuova Famiglia”, organizzazione rivale Cutolo, perde la testa. Letteralmente. Umberto Ammaturo, capo della nuova Camorra, lo decapita senza pensarci un attimo, il corpo finisce incaprettato nel baule, mentre la testa fa bella mostra sul sedile.

Nell’agosto del 1975 vengono sottratte dal magazzino della Technicolor alcune bobine del film di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Viene richiesto un riscatto di 2 miliardi di lire, ma Alberto Grimaldi, produttore del film, si rifiuta categoricamente di pagare offrendo al massimo 50 milioni.

Sergio Citti viene a sapere da un suo amico che le bobine sono state rubate da ragazzi che frequentano un bar di via Lanciani, meta abituale anche di Pino la Rana.

Il regista Citti ha sempre sostenuto che Pasolini fu vittima di una trappola con la scusa della restituzione delle bobine del suo film e Pelosi venne usato come esca più o meno inconsapevolmente.

Dieci giorni dopo la morte del suo amico, Sergio Citti torna all’idroscalo per cercare conferme.

Parla con la gente del posto e raccoglie le confidenze e mentre riprende il luogo del delitto munito di una macchina da presa 16 millimetri si accorge di una grossa chiazza di olio motore dovuto alla rottura della coppa di un auto.

Pasolini confida a Citti che il primo novembre, dopo la cena al Pommidoro con la famiglia di Ninetto Davoli, ha un appuntamento ad Acilia per recuperare la bobina del film.

Nessuna pruriginosa serata è nei programmi dello scrittore, ma solo il desiderio di recuperare le bobine del suo ultimo film.

Secondo la testimonianza che Citti rilasciò al Corriere della Sera il 7 maggio 2005, Pelosi, che conosce già e frequenta abitualmente Pasolini, quella sera incontra lo scrittore al chioschetto davanti alla stazione Termini e dopo aver imboccato, in macchina, la via Ostiense vanno ad Acilia dove scatta la trappola, Pasolini viene sequestrato e portato all’Idroscalo dove trova la morte.

La Magistratura si rifiuta di sentire la testimonianza di Citti e anche di visionare il filmato.

Il carabiniere Sansone, incaricato dal suo comandante Giuseppe Gemma, nel gennaio 1976 riesce ad infiltrarsi abilmente fra i ragazzi del Tiburtino per scoprire se i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino (giovanissimi malavitosi dediti a furti e legati alla destra romana) hanno partecipato all’aggressione di Pasolini la notte del 2 novembre 1975.

In via confidenziale il carabiniere viene a sapere che i due fratelli, Pino Pelosi e un misterioso “biondino” vanno all’idroscalo di Ostia la notte del 2 novembre con l’intenzione di rapinarlo, ma in seguito alla reazione del poeta sono costretti ad ucciderlo e a scappare.

In seguito a questa affermazione, il 14 febbraio del 1976, i fratelli Borsellino vengono arrestati, ma davanti al giudice negano tutto e sono quindi rilasciati.

Chi fosse il biondino non è dato sapere anche se molti indizi conducono a Giuseppe Mastini detto Johnny lo zingaro.

Ci sono tre testimonianze verbali che asseriscono di aver sentito Giuseppe Mastini ammettere il suo coinvolgimento nell’omicidio di Pasolini assieme ai fratelli Borsellino. Per poi scaricare la colpa su Pelosi consapevole vittima sacrificale.

Le confidenze sono state raccolte da: Pasquale Mercurio, ergastolo per omicidio, detenuto con Mastini a Spoleto e Voghera, da Walter Carapacchi, detenuto a Rebibbia con Mastini e Pelosi e da Damiani Fiori, collaboratore di giustizia, in carcere a Brescia dove ha raccolto la confidenza di Aldo Mastini zio di Giuseppe.

Tre testimonianze che non hanno portato a nessun procedimento nei confronti di Johnny lo zingaro.

Pelosi ha sempre negato alcun coinvolgimento da parte del suo amico Giuseppe.

Anche Mastini nega di conoscere Pelosi ma, in realtà, i due si frequentano da anni, e anche il famoso anello smarrito e ritrovato sul luogo del delitto, fu un regalo di Johnny lo zingaro.

Giuseppe Mastini è un ragazzo analfabeta, figlio di un giostraio di etnia sinti, nato nel 1960 a Bergamo.

Giuseppe Mastini detto Johnny lo zingaro

A 11 anni mentre scappa al volante di una macchina, in uno scontro a fuoco con la polizia, rimane ferito alla gamba, e la sua zoppia lo costringe a portare un plantare.

Strano che a nessuno fosse venuto in mente di controllare se quello ritrovato all’interno dell’Alfa Romeo di Pasolini appartenesse a Johnny lo zingaro.

Abita al Tiburtino in una roulotte. La notte del 2 novembre la macchina di Pasolini viene ritrovata, secondo quanto sostiene la polizia, nei pressi della medesima roulotte.

A 15 anni, dicembre 1975, uccide Vittorio Bigi, autista dell’Atac, mentre cerca di rapinarlo di 10 mila lire e un orologio. In galera dal 1977 al febbraio 1987. La libertà non fa bene al ragazzo, che tra il 24 e il 26 marzo uccide un poliziotto disarmato, ne ferisce un altro e sequestra una persona. Riesce a scappare per le campagne romane, ma la mobilitazione è imponente. Quattrocento agenti, carabinieri a cavallo, cani e 2 elicotteri alla fine riescono a stanarlo. Torna in galera per il suo primo ergastolo. Evade nel 1990. Altro omicidio, altro ergastolo. A questo punto diventa collaboratore di giustizia che gli permette di godere di alcuni privilegi, come il carcere in regime di semilibertà a Fossano.

Alberto Zanini

Fine terza parte

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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