“Come eravamo negli anni di guerra – La vita quotidiana degli italiani tra il 1940 e il 1945” di Arrigo Petacco, Utet editore

La domanda sorge spontanea, in chi non c’era: ma com’è possibile che dal consenso quasi totale alla dittatura mussoliniana gli italiani siano passati dalla parte dei partigiani sostenendoli, foraggiandoli, nascondendoli? Petacco con le 324 pagine del libro ci offre un’interessante chiave di lettura esponendo una serie di fatti estrapolati dalla lettura dei giornali dell’epoca sulla quotidianità del popolo lungo quei cinque anni. Certo da un lato ci sono i 300mila soldati morti o dispersi e catturati, figli, mariti di persone che comunque la guerra, fino al 1942, a parte il dolore per quei morti in terre lontane, la vivono apparentemente appunto da lontano, senza seri rischi personali. E infatti in realtà la partecipazione c’era, inizialmente gioiosa, attiva, convinta. Nell’agosto 1940 parte la raccolta del ferro e i cittadini, a partire dai cancelli, contibuiscono con entusiasmo e a Milano il ferro raccolto basta per costruire due incrociatori o mille carri armati. Dunque illusione, sacrificio, partecipazione che arriverà fino alla consegna delle fedi matrimoniali. Dicembre 1940: mentre si diffonde la voce di una grande vittoria italiana in Libia la gente esulta ma in verità l’esercito è in rotta e gli inglesi minacciano Tobruk. Il regime, attraverso la propaganda, mente. L’inverno è freddo e il combustibile è razionato, in Grecia i soldati sono bloccati tra le montagne, sotto le tende, tra la neve. In Italia moltissime stufe funzionano a legna o a carbone fossile, la lignite che provoca forti emicranie. In molte scuole i ragazzi devono portarsi la legna da casa. Ottobre 1941: in Sicilia si muore letteralmente di fame, a Roma il Campidoglio viene ribatezzato Campid’aria. Vengono distribuite tessere per l’acquisto del pane. Viene introdotto un sistema a punti per l’acquisto di vestiario: ogni cittadino ha diritto a 120 punti l’anno, con 80 punti acquisti un paio di scarpe, 60 punti un vestito da donna, 80 punti un cappotto tipo lana, 3 punti un fazzoletto, 30 punti una valigia, 10 punti un paio di calze. Sono i primi segnali di un dover ‘tirar la cinghia’ che porterà alla nascita del mercato nero e, per un tozzo di pane, gli italiani venderanno tutto: gioielli, abiti, mobili. Naturalmente esclusi gerarchi, industriali, nobili sulle tavole dei quali, tessere o non tessere, non mancheranno mai derrate alimentari in abbondanza. Ma alla fine la guerra, con tutta la sua terrificante potenza e crudeltà, arriva tra i civili, sulle città. Luglio 1943: Napoli nel giro di ventiquattro ore subisce cinque incursioni aeree e sotto la tempesta di bombe ci sono La Spezia, Reggio Emilia, Nola, Afragola, Latina, Ciampino. Il centro di Catania viene bombardato dal mare. Il 19 luglio bombe anche a Roma, i bombardieri radono al suolo un intero quartiere, distruggono la basilica di San Lorenzo. Sono 166 i morti, 1659 i feriti. Purtroppo non saranno i soli, ad ogni bombardamento s’accompagna la conta di centinaia di morti tra la popolazione civile. Fatti che parlano di una situazione d’essere parte attiva in una guerra senza averne adeguata preparazione e in assenza di una struttura industriale pronta a supportare lo sforzo bellico. Così il fascismo lentamente perde credibilità agli occhi degli italiani e altrettanto lentamente, passando attraverso migliaia di morti, svanisce quel consenso quasi totale che aveva accompagnato buona parte del ventennio. Un dato: come ricorda Petacco sono stati 300mila i militari morti. A questi però vanno aggiunti almeno 150mila civili che, senza potersi difendere, senza nemmeno sapere il perchè, hanno subito la stessa sorte spesso finendo sepolti nel crollo dei palazzi nelle città bombardate.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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