“Al siùr pret l’è a la porta dal lupanèr”, da il Museo delle Case di Tolleranza di Davide Scarpa

100 anni fa… a quell’epoca capitava (e non di rado…) che tra gli amori “impossibili” che nascevano in una casa di tolleranza, si includessero anche le “frequentazioni” di qualche giovane “pretino”, che attanagliato dalla solitudine conseguente all’assegnazione “pastorale” di una sperduta, desolata ed emarginata parrocchia, (in alta montagna senza vie di accesso e facile comunicazione, in paesini popolati solo da vecchietti, che potevano consolarsi solo con l’arrivo della posta spedita dai figli emigranti all’estero…) non si rassegnava a passare la sua vita, immersa nel DISPERATO “lungo e solitario pomeriggio d’inverno” (…così si definiva all’epoca la vita del prete parroco diocesano…) confortandosi per lo più con l’alcol (…l’alcolismo all’epoca era una vera e propria “piaga” diffusissima in tutto il basso clero…). Di solito questo genere di “relazioni” erano molto “tollerate”… all’unica condizione che, il diretto superiore curiale (il vescovo) fosse informato! Sapesse chi, quando, dove e come, (per averne naturalmente il pieno controllo!), e non si desse l’opportunità a nessuno di trarne scandalo. C’era un tacito accordo tra Curia, Vescovo, proprietari e tenutarie di case di tolleranza: la Tenutaria era “obbligata” a comunicare “tutto” al vescovo tramite i suoi “galoppini curiali” (sprezzantemente denominati così nell’ambiente degli addetti ai “lavori”, perché non erano altro che i monsignori incaricati dalla stessa “Curia” nell’assistenza spirituale delle peripatetiche) che con l’avvento dei PATTI LATERANENSI del 1929, godevano di un forte “potere” (potevano sospendere dal lavoro chiunque, secondo loro non si comportasse da “BRAVA PRATICANTE ED OSSERVANTE”) e di una bella “DOPPIA INDENNITÀ” pagata sia dalla Chiesa che dallo Stato, con tanto di contributi previdenziali, come qualsiasi altro “cappellano”! Una cosa al quanto curiosa è che a riguardo si era creato un vero e proprio ‘galateo’ su come si dovevano svolgere questo genere di ‘incontri’ (che aveva dei risvolti a volte grottescamente ridicoli, quasi Felliniani!). Quando arrivava il prelato, (naturalmente non a sorpresa, ma programmato e pianificato nei minimi dettagli) veniva ricevuto “discretamente” dall’entrata di servizio, ed esplicate tutte le formalità di rito, c’era un segnale che la Tenutaria (una parola in codice convenuta che poteva essere un numero) dava URLANDO! Alla quale tutte le signorine era tenute ad eseguire una “procedura”: chiudere a chiave la propria camera ed assicurarsi affinché nessuno (clienti compresi) potesse accedere ai corridoi fino a nuovo ordine! Dopodiché il prelato veniva personalmente accompagnato alla “stanza designata” assicurandosi che tutto fosse “apposto”, consegnato un campanello “personale” con il quale si doveva avvertire per qualsiasi “evenienza” e chiuso dentro. Naturalmente a questi fugaci incontri descritti nei diari delle prostitute gli aneddoti ” grottescamente comici” si sprecano, rasentando l’assurdo, dato che anche se “stavano tutti zitti, tutti sapevano”! Curiosità: l’usanza di parlare per “codici” era assai diffusa anche nel nostro contesto domestico di allora, quando si voleva far “capire” agli adulti presenti a tavola delle nostre numerose famiglie patriarcali, che si stava affrontando un argomento che i bambini “non dovevano sentire perché scandaloso”. si accennava ad argomentazioni alquanto fantasiosamente allusive… spesso per indicare che in quella famiglia confinante qualche ragazza era restata in cinta prima di sposarsi, e il frutto del peccato era in procinto di uscire… si diceva che “IN QUELLA CASA LA… C’ È NUVOLO, E SI PREVEDE NEL GIRO DI UN PAIO DI MESI UNA BELLA TEMPESTATA!”

A messa prima, oli osu tela di Giovanni Segantini

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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