9 settembre 1943: il Re, Badoglio, la carovana dei conigli in fuga nella notte abbandonano l’esercito al suo destino

Vittorio Emanuele III con il maresciallo Pietro Badoglio

8 settembre 1943, un tranquillo mercoledì di quasi autunno, sono le cinque della sera e Vittorio Emanuele III comincia a prepararsi per lasciare Roma. Per il ministro della Real Casa, Acquarone, Villa Ada non è più sicura, meglio trasferirsi al Quirinale con l’ipotesi di un rapido trasferimento in Sardegna per sfuggire all’eventuale cattura da parte dei nazisti che, appena sapranno dell’armistizio firmato, inizieranno l’occupazione del BelPaese. Il piano di fuga è predisposto da tempo: due cacciatorpedinieri sono pronti alla partenza destinazione la Maddalena, beni e oggetti preziosi sono già in Svizzera, sedici milioni, per affrontare le prime esigenze, diciassette valigie per il viaggio, carte e documenti in una borsa.

Ma gli avvenimenti precipitano. In serata al Quirinale viene convocato il Consiglio della Corona: governo e militari cadono dalle nuvole, nessuno (a parole) sa dell’armistizio firmato, chiedono di invitare Eisenhower a temporeggiare almeno fino al giorno 12 per darne notizia ma la richiesta viene respinta e da Radio Algeri arriva l’annuncio ufficiale. Tutti perdono la testa, qualcuno arriva a proporre di sconfessare la firma già messa, “si dia la colpa a Badoglio che, si sostiene, ha agito all’insaputa del governo!“.

Il Re però nega:”si terrà la parola data!”. Così alle 19.45 Badoglio annuncia alla radio l’avvenuto armistizio. Si scatena il panico. Giunge notizia che i tedeschi attaccano dappertutto così alle 4.50 della notte del 9 settembre la carovana dei conigli prende il via con in testa l’auto del re e della regina.

Sul molo di Ortona, nella speranza di imbarcarsi sulla «Baionetta» col re, sono in duecento ma alla fine solo 59 riusciranno nell’intento: “non uno, scrive Silvio Bertoldo in Corriere.it, che abbia un moto di dignità, che abbia pensato che si sarebbe dovuto combattere anche se la causa era persa, e non abbandonare l’esercito al suo destino per salvare la pelle“.

La battaglia di Porta S.Paolo, all’indomani dell’armistizio. Roma cadde in mano ai tedeschi mentre il re e Badoglio erano già fuggiti.

Infatti sono 1.090.000 gli uomini in armi presenti sulla penisola e in Sardegna on una buona metà delle divisioni del tutto inefficienti, scarsamente dotate di mezzi corazzati e male armate, contro circa 400.000 soldati tedeschi perfettamente efficienti e fortemente dotati di mezzi corazzati.

A queste forze, numericamente notevoli, vanno sommate le unità italiane dislocate nei vari settori fuori dei confini metropolitani: 230 mila uomini in Francia (e Corsica), 300 mila circa in Slovenia, Dalmazia, Croazia, Montenegro e Bocche di Cattaro, più di 100 mila in Albania e circa 260 mila soldati in Grecia e nelle isole dell’Egeo: in totale 900 mila uomini circa, in teoria una forza formidabile, ma solo in teoria. In realtà si tratta di un esercito assolutamente inadeguato ai tempi, su cui non si può in alcun modo fare affidamento.

Abbandonati al loro destino, senza ordini e disposizioni, in breve avviene lo sfacelo e dove viene tentata una resistenza la vendetta tedesca è tanto inutile quanto feroce: così in Trentino-Alto Adige e in Francia le truppe alpine, a Cefalonia la divisione Acqui che sceglie la lotta e la conseguente distruzione (9646 morti), i marinai della corazzata ammiraglia Roma colpita da due bombe-razzo e colata a picco in 28 minuti insieme a 1253 (su 1849) uomini dell’equipaggio.

Nel dopoguerra coloro che sono fuggiti nel momento del pericolo, buona parte dei fuggitivi della carovana dei conigli, tornarono alla testa delle Istituzioni. Nessun colpevole per quei ragazzi morti, abbandonati al loro destino.

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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