28 dicembre 1979: l’Armata Rossa invade l’Afghanistan. E’ il Vietnam sovietico

La guerra in Afghanistan del 1979-1989, talvolta indicata anche come intervento sovietico in Afghanistan, vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell’Afghanistan (RDA), sostenute da un massiccio contingente di truppe terrestri e aeree dell’Unione Sovietica, e dall’altro vari raggruppamenti di guerriglieri afghani collettivamente noti come mujaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da un gran numero di nazioni estere.

Tradizionalmente di orientamento marxista-leninista, inserito nell’area di influenza sovietica già dal 1953, nel 1978 a seguito di una divisione all’interno del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan il governo presieduto da Mohammed Daud Khan (di orientamento comunista) viene travolto dal malcontento con un colpo di Stato dello stesso PDPA che trova il pieno appoggio degli alti ufficiali delle forze armate, in maggioranza addestrati in Unione Sovietica: Il PDPA proclamò quindi la nascita della “Repubblica Democratica dell’Afghanistan” e le sue fazioni si spartirono il potere..

Il nuovo governo portò avanti i programmi di modernizzazione socio-economica con maggior decisione, abbandonando ogni cautela e seguendo un’impostazione di tipo socialista: le grandi proprietà terriere furono confiscate e redistribuite a famiglie di contadini poveri, fu abolita l’ushur (la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti), le banche furono nazionalizzate e si tentò di porre un calmiere ai prezzi; in ambito sociale furono portati avanti programmi di alfabetizzazione, si tentò di sradicare la pratica dei matrimoni combinati e l’imposizione del burqa, cercando di riaffermare l’emancipazione delle donne confermando loro il diritto di voto e incoraggiandole a partecipare attivamente alla vita politica. Dopo la firma nel dicembre del 1978 di un nuovo trattato di amicizia tra le due nazioni, i sovietici furono invitati a collaborare ai programmi governativi afghani, realizzando strade e infrastrutture e avviando progetti di esplorazione delle vaste ma poco sfruttate risorse minerarie del paese.

Sebbene accolte con favore dalla quasi totalità della popolazione urbana, le politiche avviate dal PDPA furono un trauma per gli abitanti delle zone rurali, nettamente maggioritari nel paese: la natura stessa delle riforme, contrarie ai principi tradizionali e religiosi afghani, e l’eccessiva velocità con cui furono introdotte generarono una diffusa ostilità nei confronti del governo di Kabul; le idee del marxismo-leninismo stentarono a prendere piede in una popolazione prevalentemente rurale e analfabeta, assolutamente fedele ai precetti islamici. D’altro canto la leadership del PDPA, si dimostrò intransigente nel portare avanti i suoi programmi e contraria a ogni tipo di opposizione, che fu sistematicamente repressa tramite ondate di arresti ed esecuzioni; la repressione portata avanti dal governo di Kabul provocò una recrudescenza delle opposizioni a esso: mentre dal Pakistan i mullah e i leader islamici in esilio invocavano un jihād contro la RDA, a partire dalla fine del 1978 nelle zone montuose dell’Afghanistan presero a formarsi le prime bande di guerriglieri anti-governativi, ben presto ribattezzantesi mujaheddin (“combattenti per il jihād”). Già in ottobre i primi scontri tra truppe governative e ribelli nuristani presero vita nella provincia di Konar.

La ribellione si estese anche alle forze armate, sempre più afflitte da diserzioni e defezioni: il 21 marzo 1979 l’intera 17ª Divisione fanteria si ammutinò sotto la guida del capitano Ismail Khan, prendendo possesso della città di Herat; furono necessari pesanti bombardamenti aerei prima che le unità scelte del governo potessero riprendere il centro abitato e reprimere l’insurrezione, lasciando sul terreno tra i 3.000 e i 5.000 morti compresi un centinaio di cittadini sovietici (consiglieri militari con le loro famiglie), trucidati e mutilati dagli insorti. Il 5 agosto 1979 una rivolta militare programmata nella capitale Kabul fu scoperta all’ultimo minuto, e diversi ufficiali anticomunisti furono arrestati; la guarnigione della cittadella di Bala Hissar, a sud della capitale, proseguì comunque con l’ammutinamento, e fu necessaria una battaglia di quattro ore prima che i reparti paramilitari del ministero degli Interni afghano, supportati da carri armati ed elicotteri da combattimento, potessero avere ragione degli insorti. Entro la metà del 1979, 25 delle 28 province dell’Afghanistan erano in aperta rivolta contro il governo.

Quando, a dicembre, le truppe dell’Armata Rossa sovietica entrano in Afghanistan con l’intenzione di deporre e rimpiazzare il presidente della Repubblica, l’intervento militare  provocò una ulteriore recrudescenza della guerriglia afghana contro il regime: i combattenti mujaheddin intrapresero quindi una lunga campagna di guerriglia a danno delle forze sovietico-afghane, spalleggiati in questo senso dagli armamenti, dai rifornimenti e dall’appoggio logistico fornito loro (in modo non ufficiale) da nazioni come gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, l’Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito.

Dopo più di nove anni di guerra, che provocarono vaste distruzioni all’Afghanistan nonché ampie perdite di vite civili, l’intervento sovietico nel conflitto ebbe termine con una ritirata generale delle proprie truppe conclusa il 15 febbraio 1989, dopo la firma degli accordi di Ginevra tra RDA e Pakistan; gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguirono nell’ambito della guerra civile afghana, fino alla caduta del governo della RDA nell’aprile del 1992.

Oggi quegli stessi mujaheddin continuano la guerra contro le truppe di quegli americani che li avevano sostenuti e finanziati.

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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